12 Soldiers, film che racconta del primo contingente di soldati mandato in Afghanistan dopo l’11 settembre, trae la propria linfa vitale dalla storia vera da un gruppo di uomini armati che si trovò a fronteggiare per primo la minaccia talebana, scontrandosi contro un nemico sconosciuto, in luoghi altrettanto ignoti, dei quali si sapeva ancora poco e che erano avvolti da un alone di mistero.
Tale componente fantasmatica ritorna anche nel film con protagonista Chris Hemsworth, che non a caso è prodotto ancora una volta dal “solito” specialista Jerry Bruckheimer, produttore in passato piuttosto a suo agio col cinema bellico come dimostrato nel suo Black Hawk Down, diretto in realtà a suo tempo, nel 2001 e con le ferite dell’11 settembre ancora aperte e sanguinanti, dall’eclettico Ridley Scott. Ambientato in Somalia, c’era anche in quel caso un nemico spettrale, problematico da definire e incasellare.
Può sembrare dunque un film fuori tempo massimo, 12 Soldiers (12 Strong nel più virile e muscolare titolo americano), ma in realtà è un prodotto che si sofferma sull’allora con le lenti dell’oggi, con la consapevolezza del tempo trascorso e dei fallimenti che ne sono derivati in termini non solo militari ma anche identitari, sociali, di immaginario. In 12 Soldiers le immagini dello schianto dei due aerei dirottati contro le Twin Towers sono mostrate in diretta in tv, ma quella simultaneità vissuta live dai personaggi è esperita, dal nostro punto di vista di spettatori di oggi, con inevitabile distacco critico.
Il regista danese Nicolai Fuglsig si gioca questi discreti elementi di interesse con buon mestiere, riflette sulle implicazioni del collaborazionismo (la missione è convincere il generale Dostum, capo dell’Alleanza del Nord, a collaborare con gli americani a svantaggio di Al Qaeda), sulla durezza di una presa di posizione irreversibile com’è quella di campo, che non ammette mutamenti di prospettiva, rinegoziazione delle proprie convinzioni, aperture al dubbio e dunque all’umano (la precisione topografica di luoghi e ambienti è lì a dimostrarlo, didascalia dopo didascalia).
La storia vera, tratta dal libro Horse Soldiers del giornalista Doug Stanton, vive della consapevolezza incancellabile che questi uomini siano il meglio dell’America (anche se solamente tre diventeranno berretti verdi), ma anche delle attese speranzose e minacciose di cui si caricano i canti di gruppo sospesi in volo e i cieli bluastri e plumbei squarciati dagli aerei. 12 Soldiers, anche grazie a questa nettezza della rappresentazione degli ambienti, funziona negli assalti notturni, nelle fucilazioni e nei mirini e visori delle battaglie rappresentati sempre con una certa secchezza. Regala a Michael Shannon l’ennesimo ruolo smozzicato della sua galleria di duri e fronteggia l’orrore della guerra senza troppe favole o svolazzi. Con una crudezza che punta al cuore e alle viscere senza preamboli o sottigliezze.
Mi piace: il cuore politico di un’operazione dura e pura sulle ferita della guerra
Non mi piace: l’enfasi e la retorica da cui il finale comunque non si sottrae
Consigliato a: tutti i fan del cinema bellico e delle implicazioni legate alla politica americana e alle sue molteplici, distorte applicazioni militari
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