Parlare ancora di generi cinematografici come categorie distinte, nel terzo millennio è impossibile. Il cinema di oggi, pieno di influenze e contaminazioni (anche con altri media), sfugge a classificazione precise, e spesso capita che un film sia a cavallo di più correnti, narrative e stilistiche. 3 Days to Kill è l’ultimo esempio di questo processo di ibridazione, in cui il noir, cornice della pellicola, si intreccia con la commedia, l’action e il melò.
La storia è quella di Ethan Renner (Kevin Costner), un agente della CIA che dopo una missione finita male scopre di avere un malattia incurabile. Per passare al meglio gli ultimi mesi di vita e andarsene senza rimpianti, decide di ricongiungersi con la sua famiglia e recuperare soprattutto il rapporto con la figlia, che a causa del suo lavoro non ha visto crescere. Ma un agente segreto (Amber Heard) lo rintraccia per chiedergli di finire il lavoro che aveva iniziato ed eliminare due bersagli a cui la CIA sta dietro da tempo, l’Albino e il Lupo. In cambio, la cura miracolosa, ma ancora in fase sperimentale, che potrebbe salvargli la vita.
La regia dinamica di McG (Charlie’s Angels, Terminator: Salvation) si alterna con il classico mix di stili tipico della filmografia di Luc Besson, qui alla sceneggiatura. Combinazione interessante, che dà vita a un noir atipico, in bilico tra i codici narrativi del genere e twist comici che spezzano la tensione. Costner, all’alba dei 60 anni, interpreta un personaggio dalla vita parallela, che cerca di fare il killer e il padre allo stesso tempo: ma una figlia adolescente, che per giunta non si conosce, può essere più imprevedibile di qualsiasi avversario. Capita, quindi, che nel bel mezzo di una sequenza di tortura, il protagonista riceva una telefonata dalla ragazza, in cerca di consigli su come cucinare la pasta per il suo fidanzatino. Caso vuole che il torturato in questione sia un italiano, e chi meglio di lui può fornire la ricetta perfetta…
Stereotipi culturali a parte, il film trova le sue più grandi difficoltà proprio in quella che dovrebbe essere la sua carta vincente. Il mazzo dei generi di riferimento è mischiato troppo alla rinfusa e questa non chiarezza influisce negativamente su ogni registro: il noir si riduce a una parodia di se stesso, con Amber Heard femme fatale biondissima ma insipidia, mentre la serpeggiante ironia priva di credibilità e profondità sia il ruolo di Costner, sia il suo rapporto con la figlia, che diventa un pretesto per mettere in scena situazioni a dir poco surreali. Così, il film entra presto in una profonda crisi d’identità, che le belle sequenze d’azione (una su tutte quella d’apertura, sparatoria violenta e ben coreografata che riduce a brandelli un lussuoso hotel di Belgrado) non sono sufficienti a risolvere. E una volta imboccata questa strada, tornare indietro diventa un’impresa.
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Mi piace
Le sequenze d’azione ben coreografate, e alcuni spunti comici che, seppur surreali, rubano più di una risata.
Non mi piace
Il mix di generi non trova equilibrio, e il film smarrisce presto la sua strada.
Consigliato a chi
Cerca un noir che fa capolino nella commedia, e pensa che Kevin Costner ormai faccia solo pubblicità per il tonno Rio Mare.
Voto: 2/5
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