A casa tutti bene: la recensione di ale5b
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A casa tutti bene: la recensione di ale5b

A casa tutti bene: la recensione di ale5b

Quando da un film risaltano più critiche che pregi potrebbe esserci ben poco da dire. A caldo, appena uscito dalla sala, la sensazione è quanto meno sconcertante. E’ come aver assistito ad un macabro spot per famiglie, una riflessione sul lato peggiore delle cose, che con il suo messaggio fuorviante suscita più dubbi che utilità. Un Muccino masochista, travestito da carnefice, che imbastisce un teatrino all’italiana vecchio stampo, dove “il più pulito ha la rogna”. Fortuna (sfortuna?) vuole che le tante imperfezioni e la poca autostima di A Casa Tutto Bene riescano a mantenere le distanze da una realtà sicuramente accennata ma non cosi dipinta.

Gabriele Muccino torna alle origini, presentando forse la chiusura di un cerchio iniziato anni prima con L’Ultimo Bacio. Lui, forse tra i capostipiti dei cast corali che vanno tanto di moda adesso, e che in questo ultimo lavoro raccolgono il must del cinema italiano. Accorsi, Favino, Gerini, Impacciatore, Tognazzi e chi più ne ha più ne metta. Una bella gatta da pelare gestita, va detto, con una certa sicurezza. Un solo grande protagonista, la famiglia, e un contesto, le nozze d’oro dei nonni, scenario di una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Nel mezzo parenti, nipoti, compagni, figli e, soprattutto, mezzi sguardi e rancori. Una cerimonia amara, inserita in un quadro fiabesco di un isola, ma circondata da una palpabile tensione che non ci mette mai, fin dalle prima sequenze, a nostro agio. L’opposto del confortevole salotto di Perfetti Sconosciuti, giusto per fare un piccolo esempio.

Muccino carica ogni personaggio “scivolando” sopra le righe: un marito farfallone e una moglie ingenua, il figlio prediletto artista e spirito libero, l’altro intento a gestire due donne e due figlie; non manca nemmeno la pecora nera con problemi economici e con futura prole in arrivo o persino uno zio affetto da Alzheimer con la moglie in grossa crisi di sopportazione. Una fotografia fin troppo perfetta quando si vuole generalizzare il lato nascosto delle persone. Cosi tutto diventa uno zoo, dove gli stessi attori, eccezione fatta per un Favino sempre con una marcia in più, si litigano ogni briciola di sceneggiatura apparendo a tratti grotteschi, a tratti dozzinali. Ne è l’esempio una Impacciatore al limite del surreale almeno nella prima parte di film.

E cosi ci troviamo a partecipare ad una festa alla quale non siamo stati invitati. E forse nemmeno lo volevamo. Nonostante tutto è la stessa nostra bieca indole malvagia a farci sorridere malamente dei disastri altrui, aspettando quel paio di scene prevedibili che esplodono in un trionfo di “ciociarìa” ma il cui schiaffo non fa nemmeno cosi male. Sullo sfondo passa il messaggio del film: prendetevi la felicità anche a costo di passare come un bulldozer sopra i sentimenti delle persone.
Il mare poi si calma e i traghetti ripartono. E con loro anche quelle vite appena massacrate.

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