Ci scherza perfino lui, Cronenberg stesso, sull’uso che si fa dell’aggettivo “cronenberghiano”, generalmente intendendo un modo di rappresentare il mondo e le persone attraverso la mutazione (corruzione, decadimento, trasformazione) dei corpi. Nonostante tutto, non si sottrae alla collocazione nemmeno A Dangerous Method, in cui il regista canadese racconta la nascita della psicanalisi concentrandosi sul rapporto che Gustav Jung (Michael Fassbender) instaurò con una paziente affetta da pulsioni masochistiche, che diventerà la sua amante e poi essa stessa psicanalista. Quest’ultima, Sabina Spielrein (Keira Knightley), è proprio il personaggio più legato alle ossessioni di Cronenberg: la donna ci viene presentata alla stregua di un animale selvaggio, atteggiata in modo scimmiesco e preda di terribili crisi isteriche. Curata da Jung, Sabina riconosce le sue pulsioni, smette di reprimerle, e così facendo trova il modo di convogliarle in modo non distruttivo (la mutazione, appunto). Questo modo, però, è una relazione sado-masochistica con lo stesso dottor Jung che, mentre fa i conti con le coscienze e i blocchi altrui, si ritrova per le mani i propri tabù sociali.
Su questa traccia si instaura l’altra, con Jung che si scontra con il maestro Sigmund Freud (Viggo Mortensen) mentre è in cerca dell’origine dei propri desideri. La distanza tra i due dottori è economica, caratteriale e soprattutto professionale: Freud si sente accerchiato, il pensiero dominante nell’Impero austro-ungarico di inizio ‘900 è di un razionalismo quasi fondamentalista, e risulta difficile accettare che esistano problemi che non possono essere ricondotti alla ragione. Per questo è ossessionato dal dare un vestito scientifico inattaccabile alle sue teorie. Jung crede invece ci sia qualcosa che resta fuori da questo territorio, qualcosa che ha a che fare con l’intuizione, la telepatia, addirittura la precognizione.
A Dangerous Method è un film di raffinata eleganza, che cristallizza una storia piena di erotismo, violenza repressa e incombenti minacce (la Prima Guerra Mondiale è alle porte) in una esibizione registica di museale brillantezza. Scavando alla ricerca delle origini teoriche del suo cinema, Cronenbergh si mette addosso l’abito del professore (di cinema e di psicanalisi): più che usare il film come uno strumento che scava nello spettatore, stavolta è come se si sedesse con lui in platea a prendere appunti. Non una gran decisione.
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Mi piace
La messa in scena straordinariamente accurata. E il Freud di Viggo Mortensen è irresistibile
Non mi piace
Troppa volontà didattica, che rischia di soffocare il melò
Consigliato a chi
A chi ama i melodrammi in costume e a chi vuol godere di un film dalla messa in scena impeccabile
Voto: 3/5