Erasmus (Steve Coogan) è un eccentrico e bizzarro presentatore di un programma di cucina prodotto insieme al compagno di un con il compagno di una vita, Paul (Paul Rudd). La coppia conduce una vita molto curiosa, tra feste piene di eccessi e liti puntuali che però più che scalfirli non fanno altro che rafforzarne il legame. La loro quotidianità, già di suo nient’affatto consueta, viene però completamente ribaltata dal ritorno in città di Dale, figlio biologico di Erasmus, che viene arrestato in uno squallido motel…
Il regista gay Andrew Fleming porta al cinema una coppia omosessuale nient’affatto prevedibile, a cominciare dalla scelta di casting: il volto della commedia americana Paul Rudd e il brillante, irresistibile attore britannico Steve Coogan, il protagonista di Philomena, sono un duo spiazzante e irripetibile, che ispira istantaneamente empatia e sorrisi, lacrime e malinconia. Sono due facce che in pochi si sognerebbero di affiancare ma che viste una accanto all’altra, in questo film svagato e peculiare, commuovono e convincono.
A Modern Family, ambientato in New Mexico, a Santa Fé, trova un senso più pieno e un significato più accessibile e meno telefonato nel suo titolo originale, Ideal Home. Perché oltre a essere un film che parla di ritorni a casa e del bisogno costante di specchiarsi nella persona amata per ritrovare se stessi e i propri punti fermi, quello di Fleming è un percorso sfrenato e variopinto alla costante ricerca di una quiete, un equilibrio, una stabilità. All’interno, non a caso, di un’abitazione piena di ninnoli, lussi, aggeggi sgargianti e incredibilmente efficienti.
Proprio in virtù di questa irrequietezza nient’affatto banale e del bisogno di trovare il necessario nel superfluo e la riflessione nella gag, il film flirta indistintamente con la commedia e col dramma, asciugando e selezionando il meglio dal collettivo di attori del cosiddetto frat pack e dalla factory comica di Judd Apatow. Mettendo insieme così un prodotto più insolito delle previsioni, dove un vago ma tangibile senso di rimpianto coesiste senza colpo ferire con le tazze e le magliette ingombranti del personaggio Coogan (con incise sopra frasi come «Shaved my balls for this?») e le battute sboccate e il turpiloquio solare e innocuo si affiancano alla cultura indiana.
Abbondano i giochini linguistici, ma a rimanere tatuata nella memoria, per equidistanza, sensibilità ridanciana e profondità di situazione e di scrittura, è soprattutto la scenata finale in automobile, che ci prende per mano fino a un lieve e dolcissimo finale, accompagnato dalle bellissime melliflue note di Sufjan Stevens e del suo brano For the Widows in Paradise, for the Fatherless in Ypsilanti, dall’album Michigan. Un epilogo spalancato su un arcobaleno che è molto di più della definitiva pacificazione con la propria identità queer: un’esplosione di colori e sfumature, di tinte esplosive e sottigliezze minuziose, simbolo perfetto dell’anima di un film che, una lite dopo l’altra, non smette di inseguire la propria preziosissima quiete dopo la tempesta.
Mi piace: la piacevolezza sorniona degli interpreti e la loro scelta di casting molto azzeccata
Non mi piace: una sceneggiatura che non sempre riesce a garantire una soglia di attenzione sufficiente alle dinamiche psicologiche dei personaggi, incespicando però solo di rado
Consigliato: a tutte le coppie, a prescindere dall’orientamento sessuale, perché è un family movie in chiave comica che scalda il cuore di ironia e sentimento come pochi, e a tutte le latitudini
Voto: 3/5
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