Sei anni fa usciva Alice in Wonderland di Tim Burton e fu un trionfale successo. Con un miliardo di dollari di incasso nel mondo, fu l’apripista del fenomeno delle fiabe live-action al cinema, impose al grande pubblico l’allora emergente Mia Wasikowska e regalò a Johnny Depp una nuova icona per la sua collezione di personaggi istrionici, grazie alla deliranza del Cappellaio matto. Poco importa che la critica si sentì tradita da Tim Burton, che in quel film aveva abbandonato il suo stile anarchico, goticheggiante e artigianale, per sposare un trionfo di CGI ed effetti speciali: al grande pubblico il mondo e i personaggi visionari da lui creati piacquero, e anche molto.
Ora Burton si è defilato dal ruolo di regista, restando come produttore, e cedendo il testimone a James Bobin, che ha preso solo il titolo di Alice attraverso lo specchio per dare vita a un sequel che è in realtà un sequel/prequel, in quanto vi si raccontano gli antefatti e le origini dei personaggi. Il racconto prende il la da Alice che, ora alla guida del vascello del padre, riesce a salvare sia la nave sia il carico presi a cannonate. La ragazza è stata in mare per diversi anni, ricalcando le orme del genitore e rifiutando – come già narrato nel film precedente – la strada del matrimonio combinato e dell’impiego sicuro. Al suo ritorno deve prendere delle importanti decisioni riguardo al proprio destino e a quello della madre, ma viene interrotta dal Brucaliffo accorso da lei per aiutare il Cappellaio che sta male e ha perso la sua moltezza a causa del rimorso nei confronti della sua famiglia.
Per guarire il suo miglior amico, Alice dovrà tornare indietro nel tempo e riuscire a cambiare il passato. Ed è proprio il Tempo il vero protagonista di questo secondo film, non solo in carne e ossa rappresentato dalla new entry Sacha Baron Cohen, ma anche attraverso una montagna di metafore e aforismi. E non c’è da stupirsi, dal momento che il mondo immaginario di Lewis Carroll è invaso da sveglie, ticchettii e personaggi sempre in ritardo e di corsa o di orologi che si liquefanno come nei quadri di Dalì. E tuttavia, neppure nel paese delle meraviglie i personaggi possono sottrarsi alle regole del Tempo e modificare il passato.
Ne deriva una storia ammonitrice, moraleggiante, sulla preziosità del tempo, da non sprecare. Specie quello passato insieme alla famiglia, che è al centro della storia. Il film fotografa l’ostico rapporto del Cappellaio col padre (interpretato da Rhys Ifans), il rancore represso della Regina rossa nei confronti della sorella, la Regina bianca, la difficile dialettica tra Alice e la madre. Il tempo sprecato a litigare e discutere, non perdonare, non ci fa godere del qui e ora con chi ci è caro è la lezione che vuole regalarci il film, discorso a cui avrebbe giovato una trama più strutturata. Ma si è preferito tradire la fonte letteraria a vantaggio dell’azione e degli effetti visivi: il castello dell’eternità in cui opera il Tempo pieno di invenzioni, così come i viaggi nel suo oceano attraverso la cronosfera.
Nei panni del narcisista, ed egocentrico Tempo, Sacha Baron Cohen oscura a colpi di ironia Johnny Depp, fin troppo opacizzato; Elena Bonham Carter è sempre meravigliosa nella sua furia devastatrice; sottotono la Wasikowska, ma sempre più convincente della Hathaway, che qui fa fuori tutto il repertorio di moine e mossette a sua disposizione. Dove il film si fa, invece, davvero interessante è nel regalarci le origin story dei personaggi: la giovinezza del Cappellaio, il motivo della testa gigante della Regina rossa e dell’odio nei confronti della sorella, ma anche le ragioni del tè con non compleanno del Leprotto Marzolino. Una serie di gustosi retroscena che vivacizzano il film e spezzano il ritmo adrenalinico dell’azione.
Leggi la trama e guarda il trailer
Mi piace: le origin story dei personaggi e la riflessione sull’importanza del tempo che passa
Non mi piace: l’interpretazione tutta fossette di Anne Hathaway
Consigliato a chi: è in cerca di un racconto pieno di immaginazione e di uno spettacolo visivo
Voto: 3/5
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