È bene ricordare il primo Alien alla fine di Alien: Covenant, il modo in cui raccontava il mistero dello spazio profondo, un’oscurità da cui emergeva una creatura implacabile e assassina. Era una scelta fotografica – Alien è un film in cui i personaggi sono costantemente assediati dal buio, lottano per non esserne ingoiati – e politica, con HR Giger che aveva trovato il modo di incarnare quel mistero in una forma affascinante ed esemplare, una creatura che era metafora di una società violenta e maschilista (fallocentrica come il muso del mostro, coperto di una bava bianca) a cui era necessario ribellarsi.
Ma Alien, prima di ogni altra lettura, era soprattutto una storia compatta ed essenziale, che lasciava tutto lo spazio possibile all’immaginazione e all’interpretazione.
Nei quasi quarant’anni trascorsi da quel film, e negli ultimi quindici in particolare, la rivoluzione digitale e quella televisiva hanno però inoculato nella scrittura cinematografica una doppia necessità – industriale e culturale – che porta produttori e sceneggiatori a rivoltare gli immaginari come un calzino, a far esplodere narrazioni e significati, a garantirsi contemporaneamente i ritmi frenetici dei meccanismi spettacolari e quelli dilatati del romanzo d’avventura.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la sintesi simbolica ed evocativa dei classici barattata con storie cervellotiche, dove si passa da dialoghi didascalici e battute a effetto – pensate per catturare anche il più sonnolento degli spettatori – a improbabili elucubrazioni sulle origini e il destino dell’esistenza umana.
Più nello specifico (piccoli spoiler a seguire). Alien: Covenant è il sequel di Prometheus, cioè il sequel di un prequel, e prende le mosse dal finale del film precedente, in cui Elizabeth Shaw e l’androide David lasciano la luna LV-223 con l’idea di dirigersi al pianeta degli Ingegneri e scoprire perché vogliono sterminare il genere umano. Proprio su quel pianeta atterra una seconda nave, la Covenant, dopo essere stata travolta da una tempesta solare. L’equipaggio scoprirà cosa ne è stato degli Ingegneri, di Elizabeth e di David.
Il film ha un tono cupissimo, un bodycount serrato (e particolarmente splatter) e due belle scene di combattimento tra umani e alieni, ma sceglie di sacrificare l’ultimo (gigantesco) mistero rimasto alla saga – cioè il dialogo tra umani e Ingegneri per capire le ragioni della vita sulla Terra – eludendolo completamente e mettendo invece in scena una specie di versione spaziale dell’Isola del Dr. Moreau, incentrata sulle rivendicazioni “politiche” e sulle smanie di onnipotenza degli androidi (la Covenant ne ospita uno, Walter, identico a David, entrambi interpretati da Michael Fassbender), un tema che francamente, considerata anche la vicinanza di Westworld e Ghost in the Shell, comincia a suonare dozzinale.
Va detto comunque che sono tempi difficili per la fantascienza adulta, critica e pubblico sono molto più pazienti con chi parodizza gli immaginari che con chi prova a esplorarli, accettando il rischio dell’impresa. Alien: Covenant resta un’esperienza cinematografica intensa, con una manciata di scene davvero impressionanti. Un po’ di attenzione in più nella scrittura dei personaggi sarebbe bastato a renderla soddisfacente.
Mi piace: La quota action e quella horror non lasceranno delusi gli appassionati
Non mi piace: i personaggi minori sono pura carne da macello, il confronto con i primi Alien è impietoso
Consigliato a chi: ha amato Prometheus, anche al netto di qualche pasticcio di scrittura
VOTO: 3
© RIPRODUZIONE RISERVATA