American Animals: la recensione di loland10
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American Animals: la recensione di loland10

American Animals: la recensione di loland10

“American Animals” (id., 208) è la seconda pellicola del regista-sceneggiatore londinese Bart Layton.
Quando la realtà dei personaggi si auto racconta nella finzione di attori alter ego. Cosa dire il finale filmico è quello reale nella voci minime dei parenti (e se stessi) dei quattro ragazzi
Questa storia non è tratta da una storia vera. Questa storia è vera. Ecco la differenza.
Questo film documento fa un distinguo. Noi vi raccontiamo i fatti come realmente sono accaduti.
Tra personaggi veri che si raccontano dando la palla agli attori che li raccontano.
Incipit e prima parte (venti minuti): suggestiva, emotiva e intrigante; tonica e sottosopra.
Seconda parte (un’ora circa): assemblata, mestierante, di rito e di attesa; accalorata.
Terza parte (quindici minuti): il giorno della rapina…ripetuto per errore, arraffato, ansiogeno e alla fine non molto coinvolgente (in cinema).
Ultima parte (venti minuti): didascalica, ruvida e forse troppo diluita.
Quindi un film-reale che parte benissimo (o forse che vuole promettere molto) e poi a mano a mano perde la via maestra e si districa in un moralismo semplice e senza spazi…con i vari percorsi dei nostri pazzi eroi e folli di mente…che oggi vivi e vegeti, stanno lì negli usa cercando di redimersi fuori dopo aver fatto sette anni di carcere.
Quindi passiamo da un otto….iniziale…ad un quasi sei…finale con un effetto di rinforzo sui personaggi veri e veri falsi che alla fine può dare fastidio (una certa ridondanza onirica-mente da sogno).
Si racconta la storia della rapina avvenuta alla Transylvania University nel Kentucky nel 2004 quando due studenti decidono di rubare dei libri rarissimi. Spencer e Warren vogliono cambiare la loro vita e studiano il piano per prelevare il ‘dodici milioni di dollari’ (‘Birds of America’ di John James Audubon ) e ‘L’origine delle specie’ di C. Darwin. Ecco i due folli ragazzi pensano di sradicare la loro vita rituale e portarla oltre il confine e sopra ogni limite. Per l’opera completa i due si uniscono insieme a Eric e Chas: i quattro sono pronti per fuggire dal loro letargo inerme e inutile.
Purezza ingenua e pazzia surreale. Una rapina che scardina ogni logica; e poi a chi vendere la refurtiva eccellente? Come fare? Il gioco iniziale e di preparazione è suggestivo, il dunque diventa troppo complicato, il dopo assolutamente fuori di testa e senza un vero congegno.
‘Il sogno americano’ sembra finire sul nascere, e ciò che si vive tra racconto dei veri autori e le goffagini attoriali, come lo sguardo fisso e vitreo dei ricordi come le movenze in ballo, danno uno strano senso di divertimento angosciante e di escandescenze rudimentali nei modi di agire. La provincia che vuole espatriare e andare in alto, lo Stato del Kentucky simbolo di un ‘imperialismo’ mediocre e di una rapina ‘da prima pagina’. Gli stessi personaggi come i familiari assumono connotazioni tra lo sconcerto vero e il silenzio delle spiegazioni.
E la morale ‘vincente’ diventa un assolo senza ritorno, una vigliaccheria, un ritrovo di nausea tra giovani cazzeggianti e follie senza scampo.
Ecco che il paragone con un film recente “Museo. Folle rapina a Città del Messico” (2018) ha qualcosa di comune nel volersi accaparrare di oggetti, cose o libri di un valore che va oltre alle capacità mentali dei singoli. Ragazzi, studenti e menti che vanno oltre le loro possibilità. Tornare indietro non si può: il fuori di testa è redenzione senza senno. Il carcere per sette anni per i quattro studenti e poi il loro vivere odierno in un dimenticatoio che è solo vero (i lavori che eseguono sembrano il contraltare della tragicommedia). Dal gioco puerile, alla rapina fai da te, dalla fascinazione filmica allo strenuo desiderio di rinchiudersi. Ecco che la citazione de ‘Le iene’ di Tarantino arriva come segno di film nel real-film.
Cast (attori): ben scelti e in parte divertiti; da Evan Peters (Warren), Barry Keoghan (Spencer), Blake Jenner (Chas), Jared Abrahamson (Eric).
Regia di Bart Layton di presa diretti, camera fissa, movimenti pop e senso documentaristico.
Voto: 7/10 (***½).

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