American Hustle: la recensione di Barbara Monti
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American Hustle: la recensione di Barbara Monti

American Hustle: la recensione di Barbara Monti

American Hustle – L’apparenza inganna
di David O. Russel (2013)

“Ispirato a qualche fatto reale”. È con questa frase che David O. Russel apre il suo ultimo film, facendo riferimento allo scandalo di Abscam, che nel 1978 si concluse con l’arresto di una ventina di persone, tra cui diversi politici del New Jersey. Liberamente ispiratosi a questi fatti, il regista porta sul grande schermo una truffa, in cui Christian Bale ed Amy Adams, una coppia di truffatori nonché amanti, si trovano costretti a collaborare con l’FBI, quindi con Bradley Cooper, per incastrare alcuni mafiosi e politici corrotti. Niente andrà come previsto.
In American Hustle la vita appare come una messa in scena in cui è difficile per lo spettatore distinguere tra realtà e finzione. Ma forse lo è ancora di più per i protagonisti del film, caratterizzati da un perpetuo mutamento, interiore ed esteriore. Il ritmo della storia è trascinante e le musiche che si susseguono, da Duke Ellington ai Bee Gees passando per i Wings di Paul McCartney, accompagnano perfettamente l’azione ora frenetica ora sinuosa dei protagonisti.
Il cast è praticamente perfetto: ogni attore appare a suo agio e convincente nel ruolo che interpreta. Del resto si sta parlando di Christian Bale, ancora una volta strepitoso nel suo camaleontismo, di Amy Adams, fragile e sensuale come non mai, di Jennifer Lawrence, già premio Oscar ne Il lato positivo, ora alle prese con un personaggio a dir poco borderline, cui dona una grande intensità con un’interpretazione decisamente sopra le righe. Ed infine Bradley Cooper, anche lui candidato all’Oscar ne Il lato positivo, con ottime probabilità di candidatura anche quest’anno, e Jeremy Renner, il cui personaggio è ispirato ad Angelo Errichetti, politico corrotto realmente esistito.
Una menzione speciale va poi al costumista Michael Wilkinson, che ha saputo cogliere perfettamente lo spirito anni ’70 del film, realizzando, soprattutto per i personaggi femminili, dei costumi che ne esaltano ed enfatizzano la sensualità sfrontata. Scollature profonde e pettinature improbabili, vedi i bigodini di Bradley Cooper, si fanno largo in una scenografia dai colori caldi, quasi dorati.
Con questo film O. Russel va quindi a chiudere il cerchio: dopo The Fighter ed Il lato positivo completa quella che è stata chiamata “the trilogy of self-reinvention”, una sorta di “trilogia della rinascita”. I personaggi protagonisti di questi tre film hanno di fatti una caratteristica in comune: dopo aver attraversato momenti difficili, per poter sopravvivere, sono costretti a reinventarsi. Commettono errori, inciampano, ma lo fanno con il cuore. Ed è proprio l’aspetto così umano che accomuna i personaggi dei tre film citati, a renderli, nonostante gli sbagli commessi, simpatici al pubblico.

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