American Life: la recensione di Luca Ferrari
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American Life: la recensione di Luca Ferrari

American Life: la recensione di Luca Ferrari

Tiepide miglia narranti dove il futuro è una flebile incognita, ma non per questo capace d’imbrigliare il mondo in una scivolosa resa incondizionata. È “American life” (Away we go, 2009). Un road movie di coppia passato tra treni, aeroporti e viaggi in macchina alla ricerca di una nuova vita. Passando dal panorama desertico della calda Arizona all’atmosfera più rilassata della canadese Montreal, fino al ritorno a casa. Dopo il drammatico “Revolutionary road” (2008), dove diresse la coppia titanica Dicaprio/Winslet nei meandri di una travagliata quotidianità matrimoniale, Sam Mendes torna a occuparsi di rapporti sentimentali di due giovani, questa volta con un bebè in arrivo. Rispetto alla precedente pellicola però, i toni sono più leggeri. Ironici. Poetici. Burt (John Krasinski) e Verona (Maya Rudolph) sono una coppia di trentenni (lui 33, lei 34) alle prese con la prima gravidanza. Rimasta senza genitori la donna, i due sono convinti che potranno appoggiarsi agli altri nonni per accudire la futura neonata. Le cose andranno diversamente. Un mese prima della nascita della piccola infatti, il padre e madre di Burt, dopo averne parlato per anni, hanno deciso di trasferirsi ad Anversa per due anni. Rimasti soli, decidono di mettersi in viaggio per cercare il posto ideale dove iniziare una nuova vita, puntando su luoghi dove vive un amico o un parente. Nelle varie peregrinazioni attraverso il Nord America, i due giovani finiscono anche da un’amica di Burt, LN Fisher-Herrin (Maggie Gyllenhaal), una svitata mezza hippie che allatta figli cresciuti e non sopporta passeggini. I futuri genitori saltano come grilli da una parte all’altra, fino al decisivo ritorno a casa. Dove non c’è rassegnazione. C’è la voglia di tenersi per mano. E regalare alla loro figlioletta e a se stessi la miglior vita possibile. Un viaggio non è un percorso senza che certe note plasmino sorrisi o preoccupazioni. Ne sa qualcosa Sergio Leone. Impossibile immaginare la sua trilogia western senza le musiche di Ennio Morricone. O il regista Cameron Crowe, grandissimo appassionato di musica, di cui ha infarcito i suoi film, in particolare “Singles” (1992), “Quasi famosi” (2000) ed “Elizabethtown” (2005). Per non parlare di “Into the wild” (2007), dove Sean Penn si affidò alla sensibilità sonora e verbale di Eddie Vedder (cantante della rock band americana, Pearl Jam). A farci ascoltare le emozioni di American life ci ha pensato il cantautore britannico Alexi Murdoch, autore dell’intera colonna sonora. In un’epoca dove in Italia mettere al mondo un figlio è quasi un azzardo per chi non ha certezze economiche, Sam Mendes regala una speranza. Un blues contemporaneo dove da una parte c’è chi s’interroga se la propria vita sia un fallimento, e dall’altra c’è chi non la pensa allo stesso modo e combatte senza isterismi per non lasciare il proprio compagno/a in questa logica. Si sceglie di andare avanti. Insieme. Costruendo la propria casa. Sistemando il proprio giardino. Emozionandosi di fronte a un tramonto sul fiume. E non importa se si è solo in due (o tre) a condividere tutto questo. Ciò che viviamo dopo tutto, sono le nostre pagine di vita.

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