Il cecchino più letale nella storia degli Stati Uniti d’America, una leggenda come veniva chiamato dai suoi commilitoni e più volte ribadito nel film, a voler porre ancora di più l’accento sulla maestosità di questa persona. Ma era davvero questo quello che voleva Chris Kyle? Forse voleva solo difendere il suo paese, senza che il tutto diventasse un tiro al bersaglio, che colpisse in pieno la sua mente disintegrandola in tanti frammenti di piccoli incubi, con i quali è stato costretto a convivere da li in poi. La sua storia è l’ultima scommessa di Clint Eastwood, questa volta però non c’è una ragazzina sfrontata, piena di grinta e muscoli, a trovare la gloria a suon di cazzotti, ma un cowboy texano, che stanco di andare a caccia di animali decide di andare a caccia dei nemici del suo paese. Il buon Clint affida la parte alla star del momento, Bradley Cooper, ingrassato per l’occasione di ben venti chili. La sua interpretazione è ineccepibile, dimostrando ancora una volta di essere l’attore di Hollywood più ricercato da registi e produttori. Il racconto della vita di Chris Kyle comincia dai suoi trascorsi in Texas, suo paese nativo, cresciuto a pane e valori, educato dal padre all’uso del fucile per andare a caccia. Divenuto adulto, stanco di cavalcare in giro tra un rodeo e un altro e per di più tradito dalla sua ragazza, decide di arruolarsi nei Navy Seal, distinguendosi da subito come infallibile cecchino. Tra un bersaglio ed un altro, incontra Taya (Sienna Miller) in un bar, la quale diventerà sua moglie e madre di due bambini. L’attentato terroristico dell’11 settembre alle torri gemelle lo proiettano in guerra in Iraq e da questo momento si susseguono nel film scene che mettono in raffronto la vita che viene affrontata da Kyle laggiù, appostato sui palazzi per colpire chiunque provi ad avvicinarsi minaccioso a un marine e quella vissuta ogni qualvolta ritorna a casa da sua moglie e dai suoi bambini. Un confronto spietato che crea in lui una confusione mentale ricca di dubbi, senza più certezze, incapace di comprendere e sopportare il netto distacco di due realtà completamente diverse, la tranquillità della vita famigliare di tutti i giorni, contro lo spargimento di sangue e le vite ammazzate come fossero pedine di un gioco da tavola senza che si possa ripassare dal via. L’aver impresso dentro di se quell’orrore vissuto ogni giorno, i sensi di colpa che affiorano per non riuscir a proteggere tutti i compagni destabilizzano la sua esistenza, riportandolo, al termine della missione, a vivere con la sua famiglia nel posto dove era cresciuto da ragazzo, in cerca di un po di pace e serenità… Il regista, reso celebre dal grande Sergio Leone coi suoi film western, riesce a mostrare sempre storie ad effetto, talune più crude delle altre ma pur sempre girate con grande talento ed ormai un’esperienza da vendere. Le scene sono di guerriglia pura e ci portano indietro nel tempo, quando il campo di battaglia era il Vietnam e non l’Iraq, anche se le sole differenze, forse, si riassumono nell’epiteto rivolto ai propri nemici, da “musi gialli” a “selvaggi”. Alcune incongruenze con l’autobiografia (nel libro è raccontata un’altra versione dell’episodio della donna con il bambino e non esisteva alcun “macellaio” a cui davano la caccia) da cui ne è stato tratto il film hanno reso la storia ancor più cinematografica. Lo stesso giorno al cinema sono usciti: “American Sniper” e “The Imitation Game”, sembrerà strano ma trattano entrambe la storia di due “eroi”, il primo venerato, pianto e celebrato, il secondo, invece, usato, maltrattato, dimenticato e non certo glorificato; forse bisognerebbe fare più attenzione quando si usa l’appellativo di “eroe”, perchè non è detto che siano sempre quelli a saper usare un’arma a dover divenire tali.
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