Per me tutti questi elogi sono immeritati. Io preferisco guardare oltre la patina d’oro per capire il senso di un film, e in questo caso ho trovato un mostro e non basta l’abilita’ di un regista di vaglia come Eastwood per trasformarlo in una principessa. Tanto per cominciare questo film mi sembra il rifacimento del cortometraggio “Orgoglio della nazione”, diretto da Eli Roth (il film di propaganda nazista che Hitler va a vedere in “Bastardi senza gloria” di Tarantino) e il protagonista mi ricorda il mitragliere pazzo di Full Metal Jacket che si vantava di aver ammazzato centinaia di persone, comprese donne e bambini (“Vanno piu’ lenti e quindi miri piu’ da vicino, no?”) sostenendo che era necessario per difendere la patria (Oscar Wilde aveva ragione quando diceva che il patriottismo e’ la virtu’ dei perversi). C’e’ chi ha accusato Eastwood di aver realizzato appunto un film di propaganda ma lui e’ troppo furbo per ricorrere a un sistema cosi’ banale, molto meglio confezionare un opera multiforme, inserendo varie considerazioni sullo stress provocato dalla guerra o sulla eticita’ dell’ammazzare un bambino (Considerazioni che non sembrano aver dato troppe notti insonni al vero Chris Kyle, dal momento che nella sua autobiografia si sentiva dispiaciuto solo di non aver ammazzato piu’ gente) e nel frattempo proseguire un discorso, sottile ma consapevole, sulla necessita’ dell’America di essere il gendarme del mondo e della legittimita’ nell’impiego di “eroi” come Chris Kyle per far vincere il bene. Un’altra cosa che non mi e’ piaciuta e’ la semplificazione fin troppo facile della situazione in Iraq, con gli iracheni ritratti tutti come terroristi sanguinari o come individui vili pronti a tradirsi a vicenda, mentre gli americani sono tutti eroi o quasi, capaci di uccidere un nemico con un solo proiettile sparato al rallentatore come in un film di John Woo (quello vero, non quello rovinato da Hollywood): chiunque abbia letto i resoconti della guerra in Iraq sa bene che di questo punto di vista non sono veri neanche i punti e le virgole, specialmente sul presunto eroismo degli americani. Questo modo di narrare fatti reali mi ricorda troppo certi orribili film d’azione degli anni Ottanta con quelle vecchie star che ultimamente hanno scelto di ritrovarsi nella serie Expendables (orribile anche questa), e la scelta di Eastwood di ricorrere ad un interprete piu’ recente come Bradley Cooper non basta a farmi passare il sapore di vecchio che mi sento in bocca quando vedo questo film; lo stesso Cooper non e’ poi questo granche’, con il suo fisico da body-building e il volto da stupido ragazzone texano che gli resta appiccicato dall’inizio alla fine. Qualcuno sostiene che l’abilita’ alla regia di Eastwood compensa tutte queste assurdita’ ma ci sono stati anche altri registi, da Sam Peckinpah a Kathryn Bigelow, che hanno saputo raccontare storie di guerra con una narrazione e un montaggio encomiabili ma senza scivolare nella retorica come Eastwood sceglie volutamente di fare. E poi a che serve l’abilita’ di un artista quando viene usata per giustificare l’ingiustificabile, specie quando si cerca di mitizzare un tizio che sembra piu’ un serial killer che un eroe di guerra? Tanto varrebbe riabilitare registi come Leni Riefenstahl, Veit Harlan o l’americano David W. Griffith, i primi ad elogiare la natura salvifica del terzo reich e il terzo ad omaggiare il ku klux klan ma tutti e tre considerati “buoni registi”. Fino a che punto si deve considerare un film come un opera d’arte anche quando veicola dei messaggi moralmente discutibili? E’ un enigma a cui nessuno sara’ in grado di rispondere. Ma al diavolo la moralita’, giusto? L’importante e’ che il film sia un successo al botteghino. Se i nazisti avessero vinto la guerra magari avremmo fatto un film simile per raccontare la vita di Rudolf Hoess o di Adolf Eichmann, tutti e due tizi che, come Chris Kyle, credevano nella necessita’ di quello che stavano facendo, salvo concedersi talvolta l’opportunita’ di avere dei dubbi, subito messi da parte per tornare al “lavoro”. La cosa che mi ha nauseato pero’ e’ stato il finale, un opportunita’ mancata di mostrare l’assurdita’ della storia di Chris Kyle, sopravvissuto al conflitto iracheno ma ucciso nel suo paese ad opera di un altro reduce come lui (tragica ironia o giustizia da favolette?): Eastwood sceglie di non mostrare la morte del protagonista ma di presentare una bella scritta che dice che egli mori’ ucciso da un uomo che “cercava di aiutare” per poi passare subito all’imponente funerale e alla celebrazione patriottica dell’ “eroe”, e in questo caso il regista getta definitivamente la maschera mostrando la pellicola per quello che e’, un manifesto di propaganda a uso e consumo dei suoi amici repubblicani che gia’ si preparano a subentrare a Obama per le prossime elezioni, un idea di gran lunga piu’ intelligente del discorso alla sedia vuota che mi ha fatto quasi pensare che a Eastwood fosse saltata una rotella.
Questa e’ la mia opinione, potete condividerla o meno ma non importa. Qualcuno magari mi attacchera’ dicendo che non ho capito niente o magari dira’ qualcosa di peggio ma io ricordo che anche Emile Zola subi’ attacchi quando fu uno dei pochi a dichiarare che Dreyfuss era innocente quando tutti lo volevano con il cappio al collo, lui si limito’ a rispondere “Io aspetto”.