Napoli. Ciro (Giampaolo Morelli) è un killer spietato. Insieme a Rosario (Raiz degli Almamegretta) è una delle due “tigri” al soldo del boss don Vincenzo (Carlo Buccirosso), meglio noto come “o’re do pesce”. Donna Maria (Claudia Gerini) è la moglie del criminale, una donna astuta e manipolatrice, mentre Fatima (Serena Rossi) è un’infermiera un po’ svampita dalla chioma afro e dai tanti sogni stipati in testa. Un manipolo di personaggi vari e assortiti, le cui sorti si scontreranno dando vita a situazioni estreme, rischiose, esilaranti.
I fratelli Marco e Antonio Manetti, meglio noti come Manetti bros e massimi portavoce del b-movie italiano, sono due funamboli delle piccole cose, degli artigiani abituati a estrarre dal minimo disponibile il massimo possibile. Degli esploratori di generi, ma anche una coppia di sperimentatori che dal basso e sul basso è abituata a costruire la totalità della propria poetica sgangherata. La loro è, da sempre, una minorità voluta, che faccia rima con libertà.
Possono vantare, tra le tante cose diversissime della loro carriera, una delle più divertenti commedie italiane degli ultimi anni: quel Song’e Napule capace di ridare vita in forma gioiosa all’immaginario partenopeo più stantio, vessato da una spremitura in chiave dark quantomai sospetta ed eccessiva, attraverso un repertorio all’insegna di parodia, fumetto, farsa: generi mobili che si contaminavano con contagiosa e volenterosa allegria. Il loro Ammore e malavita, approdato con merito al concorso di Venezia, altro non è che la versione più ambiziosa e ragionata del film precedente, buon successo di pubblico e critica. Nonché il riversamento in un musical vero e proprio, con tanto di coreografie e canzoni scritte ad hoc, di quanto già fatto in Song’e Napule.
Il surplus di ambizione tuttavia non porta i Manetti bros a fare meglio: il mix di romanticismo e pallottole (love and bullets recita il titolo internazionale) è estremamente divertito e divertente ma tutt’altro che equilibrato. La sensazione è che a partire da un immaginario esuberante e interminabile (kitsch televisivo e dialettale, sceneggiata napoletana, crime movie, ovviamente il musical, perfino la favola sentimentale e la cinefilia pop) si sia riusciti a organizzare una progressione di eventi gustosa ma non sempre capace di armonizzare tra di loro degli elementi che rimangono un po’ scollati: un tutto inferiore alla somma delle parti e peraltro anche abbastanza prolisso. Un film che pecca di generosità, e che come buona parte di chi dona agli altri in maniera disinteressata raccoglie meno di quello che semina e dispensa.
Nessun brano è memorabile e si canticchierà a posteriori, purtroppo, nemmeno la cover di What a feeling di Flashdance (altro che La La Land napoletano). La sfida del musical ambientato a Napoli, in compenso, può dirsi complessivamente riuscita a livello di forma, anche senza approdare a risultati pirotecnici: i Manetti azzeccano infatti tempi e ritmi delle coreografie, che sono sgrammaticate ed estemporanee come tutto il loro cinema e ne rispecchiano benissimo l’anima selvaggia, guascona ma anche irrimediabilmente insofferente e ribelle. Danze che avrebbero meritato senz’altro un riempimento migliore, all’altezza di una Napoli così vivida e spontanea, una babele di eccessi irresistibili e solari, dove nulla, grazie al cielo, è mai così nero come lo si dipinge.
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