“Gruppo di famiglia ‘ndranghetana in un interno”. Parafrasando il film viscontiano del ’74, ammetto che di quest’opera di Munzi mi sono sfuggite non poche cose. Un noir girato come se si fosse ancora nel b/n del 1° Novecento, col prevalere delle scene girate in notturna, coi personaggi ch’emergono dal buio quanto quelli d’un quadro caravaggesco, coll’Aspromonte ammantato da nubi torvamente minacciose, col rimbombante silenzio (diegetico e non, epilogo a parte) dell’omertoso parentame fors’anzitutto femminile che sopporta supportando e viceversa, coi tempi morti che metaforizzano gl’ammazzamenti della faida, con “l’africese, musicale, duro, incomprensibile (tradotto dai sottotitoli in italiano) [che] dà il senso d’un mondo indecifrabile e sconosciuto”. “Le belle facce primitive paiono appartenere a un altro tempo, a luoghi lontani e irraggiungibili, […a] vite primitive e lussuose, precarie e sanguinarie, contadine e borghesi, intoccate e intoccabili, chiuse nei loro riti tragici e antichi” (Natalia Aspesi, “la Repubblica”) alla stregua d’una “tragedia greca o shakespeariana, in un’antropologia che fra il particolare e il generale torn’alle radici ancestrali del Male”. ‘Sta meditazione sull’origine della negatività io non l’ho colta manco di striscio, sia perché la fenomenologia non è antropologia, sia perché non ho capito come si possa universalizzare la portata delle vicende narrate da Munzi (e Criaco). Tornando alla prima questione, sottoscrivo l’idea di Goethe: “Wo viel Licht ist, ist auch viel Schatten”, “Dove c’è molta Luce, c’è anche molta Ombra” o “Dove c’è molta luce, l’ombra è più nera” (https://books.google.it/books?id=8BwKF1A_9K8C&pg=122&dq=%22Dove+c’è+molta+luce,+l’ombra+è+più+nera%22): “Götz von Berlichingen”, 1773. E se già il Romanticismo aveva intuìto che il noir è rappresentato meglio per contrapposizione, “sub specie contraria”, per eccesso di luminosità abbagliante e accecante, cos’è allora il ridondante pleonasmo d’un simile “tono su tono”, roba da “Era una notte buia e tempestosa” (immancabili pure gli scrosci di pioggia, l’inclemenza climatica, praticamente tutto l’apparato dei logori tòpoi del genere)? Ottima la recitazione, bella l’analisi fra le diverse velocità temporali su base geo-generazionale, azzeccato lo stralcio evangelico dell’emorroissa letto durant’il funerale. Ma non (mi) basta. 98% su RT: alleluja. Ps.: lasciate perdere qualunque riferimento a “Fratelli” d’Abel Ferrara (1996): lì s’era davvero su altre vette.
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