Bisogna tornare indietro al 2007 per rintracciare la genesi di Army of the Dead: Zack Snyder sta emergendo grazie all’Alba dei Morti Viventi, realizzato tre anni prima, e George Romero non solo è ancora vivo, ma sta per girare altri due film del genere che ha sostanzialmente inventato, ovvero Diary of the Dead e Survival of the Dead. Manca ancora qualche anno all’inizio della serie The Walking Dead, ma tutto fa capire che l’attenzione e le opportunità per un nuovo film sugli zombie ci sono tutte.
Il progetto, in mano alla Warner Bros., cade invece in un abisso produttivo, accantonato sin quando nel 2019 Netflix decide di acquisirne i diritti e dare a Snyder, in lotta per realizzare la sua versione di Justice League, la possibilità di tornare a girare un nuovo film di questo genere. Non solo, perché come spesso capita con la piattaforma le cose si muovono molto alla svelta: di Army of the Dead è stato già annunciato un prequel spin-off diretto da Matthias Schweighöfer (Ludwig Dieter nel film) intitolato Army of Thieves e una serie anime, Army of the Dead: Lost Vegas, entrambi distribuiti da Netflix.
Grande fiducia quindi nel nuovo franchise, che inizia con la storia di una Las Vegas invasa di zombie e un gruppo di mercenari che tentano il colpo della vita. L’epidemia inizia in maniera molto suggestiva dall’Area 51 e in poco tempo (lo spazio dei titoli di testa, molto divertenti) contamina tutta la Città del Vizio. Tra i pochi che si mettono in salvo ci sono Scott Ward (Dave Bautista) e la figlia Kate (Ella Purnell). Ward riceve però la classica chiamata del destino: un misterioso imprenditore (Hiroyuki Sanada) lo convince a formare una squadra per recuperare 200 milioni di dollari non più tassabili né rintracciabili custoditi nel caveau di uno dei casinò della città. Tra il gruppo e la missione, oltre ad un’orda di creature, c’è anche il tempo: entro poco l’intera Las Vegas verrà nuclearizzata.
Le premesse per un ottimo film c’erano tutte: Snyder torna a gestire un materiale col quale ha dimostrato buona dimestichezza nel remake di Zombi del 2004, mischiandolo questa volta a suggestioni provenienti non solo dalla saga di George Romero ma anche da film come Io sono Leggenda, gli heist movie alla Ocean’s Eleven (evidente nella prima parte di recrutamento) e soprattutto da 1997: Fuga da New York. Come per il film con Kurt Russell, anche qui l’impresa prevede di entrare in una città blindata e tremendamente ostile. Snyder prende tutto questo e lo filtra tramite il suo occhio fatto di camera a mano, inquadrature strette e focale corta: la fotografia, firmata da lui stesso, è senz’altro tra gli aspetti positivi del film.
L’altro punto a suo favore riguarda proprio gli zombie: in Army of the Dead Snyder non si è limitato a popolare la città di non-morti ambulanti mangia-cervello, ma ha strutturato una vera e propria mitologia mostruosa, dando spessore e gerarchia alle creature. Forse troppo: il termine zombie infatti sembra lontano anni luce da questa nuova rappresentazione, che non sembra neppure poi così morta come il titolo suggerisce. Plauso anche per una delle scene monster più feroci e cruente degli ultimi anni, probabilmente da quando Leonardo diCaprio si è fatto dilaniare dall’orso in Revenant di Iñárritu.
Dove fallisce invece, in maniera abbastanza clamorosa, è invece proprio nella regia: nell’ironica attesa di una dichiarazione sul fatto che questo Army of the Dead non sia la versione finale che voleva lui, il film resta lungo, farcito di così tante linee narrative e spunti che Snyder stesso finisce col perdersi qualcosa per strada. Il regista di 300 e Man of Steel stecca proprio nell’idea di una regia intesa come capacità di raccontare una storia, di mettere insieme la componente umana e quella tecnica per restituire azione, ritmo e movimenti in un giusto equilibrio.
L’emblema di questa criticità è evidente nel finale (tranquilli, nessuno spoiler), vero punto debole del film. Negli ultimi 15 minuti di Army of the Dead sembra proprio che Snyder abbia perso completamente la rotta e si sia incartato su se stesso. Addirittura dà l’idea di essersi dimenticato delle trame e delle motivazioni (alcune inspiegabili e forse tagliate al montaggio) che hanno condotto a quel momento, liquidando il tutto con dettagli appena percepibili sullo sfondo o una mezza battuta persa nel mucchio. Un problema di grammatica inaspettato e molto deludente.
A pagare l’evidente disinteresse di Synder per il cosa viene mostrato in favore del come viene fatto sono gli attori, che per la verità non sono comunque mai stati il suo punto forte. Spesso appaiono abbandonati nelle loro posizioni in scena, e la percezione che ne deriva è che non tutti sappiano cosa devono fare fino alla fine del ciak. Nessuno emerge sull’altro e anche la grande chance di Dave Bautista come leading star viene sprecata.
L’esordio del possibile franchise di Army of the Dead, al netto di qualche pregio e di troppi difetti, è quindi un film che sa intrattenere il giusto e che diverte soprattutto quando non si prende troppo sul serio, dimenticandosi però strada facendo il senso della misura. Anche questo, suo malgrado, è un tratto comune nei film di Zack Snyder.
Foto: MovieStills
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