Quello del “piccolo popolo” è un mito vecchio come il mondo, nato per spiegare l’inspiegabile (i cerchi di fiori nella foresta, i rumori notturni nel sottobosco, le chiavi della macchina che spariscono misteriosamente) e farci sentire meno soli: possibile che nella vasta Terra esista una sola specie senziente? Ovviamente no, e anche tra i fili d’erba del giardino dietro casa può celarsi un mondo nascosto di creaturine che cavalcano i ragni e addomesticano le api. È un’immagine potente e poetica, che accompagna folklore e letteratura praticamente da sempre.
È, oltretutto, un’idea talmente semplice da tradurre al cinema (si gioca con le proporzioni, con gli oggetti quotidiani che diventano ostacoli insormontabili) che in molti ci hanno provato, soprattutto negli anni Ottanta, vero periodo d’oro del cinema fantastico. In pochi, però, sono riusciti davvero a restituire la magia di fate e folletti, scadendo piuttosto nella baracconata da luna park. Dispiace dirlo, ma adesso anche Luc Besson si iscrive al club, chiudendo la trilogia di Arthur e dei Minimei in modo insoddisfacente.
Peccato, perché i presupposti, dopo un secondo capitolo sottotono (e troncato sul più bello), c’erano tutti: dopo due film in cui i “grandi” esploravano il piccolo mondo, Arthur e la guerra dei due mondi ribalta la prospettiva, catapultando il villain Maltazard (che in originale ha la voce un po’ logora di Lou Reed) nella nostra realtà e costringendo Arthur (come sempre Freddie Highmore) a una corsa contro il tempo. Perché ovviamente Maltazard vuole conquistare il mondo e altrettanto ovviamente il giovane protagonista è intrappolato nel suo corpo da Minimeo. Il che consente a Besson da un lato di giocare con lo straniamento che un dittatore alto un pollice prova nel passeggiare in un centro cittadino, e dall’altro di far muovere Arthur (e la principessa Selenia alias la “signora Bieber” Selena Gomez) in un ambiente domestico ingigantito. Il film saltella così tra “la scena delle montagne russe in cameretta” in stile Toy Story – in cui bisogna ammettere che il 3D è finalmente usato con criterio – e “la scena con il cattivo che guarda male i bambini per strada”, salvo poi ricomporsi in un duello epico nelle intenzioni ma insoddisfacente nei risultati (che oltretutto cita Gli uccelli senza criterio).
Non è l’universo dei Minimei a non funzionare: in fondo si tratta di folklore reinterpretato con pochi semplici tocchi di modernità. Quel che manca ad Arthur e la guerra dei due mondi sono piuttosto gli elementi che trasformano una bella idea in un grande film: ritmo, regia, una scrittura brillante e la capacità di coinvolgere gli spettatori nell’universo creato. Se esistesse un sindacato dei bambini, dovrebbe sporgere denuncia per (ipotizziamo il reato) “criminale sottovalutazione delle loro facoltà mentali”.
Mi piace
Tecnicamente dieci passi avanti rispetto ai film precedenti, e quasi allo stato dell’arte.
Non mi piace
La storia inesistente. Il ritmo scarso. La scrittura spezzettata. Il citazionismo eccessivo.
Consigliato a chi
Vuole assolutamente sapere come si conclude la vicenda di Arthur e Maltazard.
Voto: 2/5
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