Autopsy: la recensione di Cristian_90
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Autopsy: la recensione di Cristian_90

Autopsy: la recensione di Cristian_90

Autopsy, del semi-sconosciuto regista norvegese André Øvredal (Troll hunter), è un buon prodotto fondamentalmente horror ma con una trama che gli fa assumere, con buoni risultati, i connotati di un thriller che non rinuncia a strizzare l’occhio ai cliché di genere, molto spesso apprezzati da un ampio pubblico. Sufficiente la sceneggiatura affidata a Ian Goldberg e Richard Naing. Oltre ai dialoghi di carattere scientifico, ma comprensibili, non c’è altro da segnalare in un copione abbastanza povero di significatività. L’alone di mistero viene, invece, ben mantenuto fino allo svelamento, preceduto da momenti di tensione prevedibili. Fotografia di Roman Osin (Orgoglio e pregiudizio [2005]; Il labirinto del silenzio). Musiche di Danny Bensi e Saunder Jurrians (A Good Marriage; Franny; Regali da uno sconosciuto – The Gift). Promosse a pieni voti le prestazioni degli attori Brian Cox e Emil Hirsch.
Una casa, un misterioso pluri-omicidio e l’ancor più misterioso cadavere di una giovane donna senza identità trovato semi-sepolto nel seminterrato dell’abitazione. Gli indizi non sembrano avere logica e la polizia brancola nel buio. Una risposta decisiva potrebbe darla il corpo, stranamente intatto, della donna che viene affidato alla perizia del medico legale Tommy Tilden (Brian Cox) e di suo figlio Austin (Emil Hirsch). I due gestiscono l’obitorio-crematorio costruito sotto la casa di famiglia. Lo sceriffo della cittadina di Grantham, in Virginia, cerca risposte sulle cause della morte della ragazza. Inutile dire che i risultati saranno sconcertanti.
Si rivela una piccola, piacevole e inaspettata sorpresa il nuovo film di Øvredal, Autopsy, che fa del mistero la sua arma principale (o meglio, l’unica). Il regista riesce a costruire fin dall’inizio la giusta atmosfera, tesa e impenetrabile. Come detto sopra, il film è un misto di generi diversi che vengono amalgamati abbastanza bene: di base si tratta di un horror, la trama aggiunge un carattere thriller e non manca il tono splatter, seppur pacato. Diciamo, fin da subito, che la parte horror è quella che meno funziona nel complesso, fatta di jump scare piuttosto prevedibili, visti e rivisti migliaia di volte e privi, dunque, dell’effetto sorpresa. Non si può però generalizzare, in quanto essi riescono comunque a fare presa su buona parte degli spettatori. La fortuna della pellicola risulta essere la storia che nasconde il corpo senza vita dell’anonima donna, ben costruita e imperscrutabile. Per quanto ci si possa sforzare durante la visione sul perché la giovane donna, attorno alla cui autopsia ruota l’intero film, sia morta o sulle cause scatenanti la terribile situazione in cui Tommy e Austin Tilden vengono a trovarsi a seguito del contatto con il cadavere, nulla aiuta a predire in qualche modo la verità dietro al mistero. Lo spettatore partecipa all’autopsia in corso e alle scoperte che mano a mano vengono fuori, le quali, con grande abilità del regista, non aiutano però ad avvicinarlo alla soluzione dell’enigma quanto, piuttosto, a porsi ancora più domande e, nel più apprezzabile dei casi, a non sapere cosa domandarsi. Lo svelamento del mistero, quindi, avviene per gradi ed è ben gestito per tutto il film e quello che si scoprirà risulterà tutt’altro che scontato. I due protagonisti, interpretati da Brian Cox ed Emil Hirsch, così come il pubblico, sono soltanto delle incoscienti vittime di un gioco oscuro e maligno che li porta ad avere a che fare con un mondo ignoto, pervaso da un male che illude, inganna, che giostra a suo piacimento l’animo umano e che infine, stanco di giocare per netta superiorità, decide di colpire con estrema brutalità. Nonostante la presenza dei due ottimi attori non credo che la qualità del prodotto sarebbe cambiata se al loro posto ci fossero stati altri due interpreti, magari meno quotati. Questa considerazione va, ancora una volta, a premiare il regista e la sua creazione. La regia risulta abbastanza fluida, mentre il ripetuto indugiare della cinepresa sugli occhi senz’anima della donna riesce a creare nella mente dello spettatore l’attesa di un minimo e impercettibile movimento da parte di quel corpo che però opera per vie diverse e ignote alla semplice percezione umana. Se il nucleo della pellicola è, dunque, forte e compatto, quello che forse manca è l’attenzione a ciò che c’è o che dovrebbe esserci intorno. Øvredal fa ‘all in’ sulla storia che si cela dietro all’enigmatica donna e non si cura d’altro. Appena sufficiente risulta l’ambientazione, fatta di spazi abbastanza stretti ma non proprio claustrofobici come ci si sarebbe potuti aspettare da un film che avrebbe dovuto fare del motto “non hai via di scampo” il suo cavallo di battaglia. Rilevanza maggiore poteva essere data alle musiche che, quando ci sono, sono inquietanti ma, purtroppo, appena abbozzate. Si è già detto dei classicissimi jump scare che, a mio parere, hanno floppato. Ma, in definitiva, non possiamo che congratularci con Mr. André Øvredal per averci regalato un piccolo diamante grezzo su cui pochi avrebbero scommesso.

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