Alla Marvel/Disney vengono meglio i film con un solo protagonista che quelli corali, gl’uno contro tutti invece dei tutti contro uno. Anche con un paio di dozzine di sceneggiatori, il loro tentativo d’incastro delle trame multiple è disastroso. Eppure agli spettatori piace smisuratamente di più il fracasso d’una storia che sembra passata attravers’uno sciame di buchi neri, poiché ormai s’intende l’epicità com’ipertrofica bulimia quantitativa. “Captain Marvel” er’un tuffo negl’anni ’90, sempre meglio tardi che mai raccontava l’inizio della saga, aveva una colonna sonora eccellente. Molti stereotipi, però non quanti nelle 3 ore d'”Avengers: Endgame” con disfatta, scoramento, rinascita della speranza, nuovo reclutamento, morti eroiche, frasi a effetto intercambiabili, ecc. L’impatto emotivo provien’ancora dai trucchetti di Zemeckis sulla scemenza della seconda chance tramite viaggio temporale. Speravo che, dop’il fallimento persino di Brian Greene con “Déjà Vu” (Tony Scott, 2006), qualcuno avrebb’avuto il buon senso nonché l’umiltà per il recupero degl’insegnamenti forniti dalla filosofia e teologia del tempo: l’unico modo logico per cambiare davvero lo status quo è semmai la reversione del flusso cronologico. Ma geni come Klimov (“Va’ e vedi”, 1985) sono più unici che rari.
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