Mentre si sta festeggiand’il trentennale d'”Akira” (Otomo, 1988), giung’il 10° capitolo del MCU accolt’anch’esso come milestone e landmark nella storia della sci-fi cinecomics e non. All’epoca s’ebbe una trasposizione del pensiero buddhista, contraddittorio ma impegnativo, sull’espansione egocosmica della soggettività nel persistere del principium individuationis. Aporia ribadita pure dal “Lucy” di Besson (2014). Oggi, invece, ferme restando l’epicità cosmica e la spiritualità soprannaturale, s’attinge al fantasy: Than[at]os ne sa più della scienz’odierna e c’insegna ch’i princìpi della termodinamica hanno valore non solo locale bensì globale: l’universo disporrebbe di risorse finite. Perché gli sceneggiatori non ci scrivon’un paper e ne testano la validità sottoponendolo a un peer review? La soluzione adottata da Brolin sott’il mastodontico makeup è di dimezzar’il numero degl’esseri viventi. Com’ha calcolato che la percentuale giusta sia fifty/fifty non ce lo spiega poiché non penso che potrebbe farl’in alcun modo. Per riuscire nel suo scopo, necessita d’unire in un guanto le 6 “Gemme dell’Infinito” (color viola per il Potere, arancione per l’Anima e così via ad minchiam). Su simili basi spudoratamente indifferenti a un qualsiasi livello di verosimiglianza (e tralascio sia gl’Avengers sia i Guardiani della Galassia), si grid’al blockbuster che segnerà l’Arte: convinti all’unisono marketing, pubblico e critica. Solita deriva postmoderna? Le definizioni canoniche fornite a questo concetto non le sottoscrivo più: AIW è un macroscopico segno del nostro tempo, però ho smesso di credere che qualcuno abbia l’idee chiare su quale tempo stiamo vivendo. Per presbiopia aka eccesso di vicinanza.
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