Tanto tempo fa c’erano dei difensori della Terra che avevano salvato New York da un attacco alieno e in seguito impedito a un androide senziente di nome Ultron di distruggere il pianeta. In seguito qualcosa s’incrinò. Gli effetti secondari avevano però generato screzi interni tra i membri che si erano divisi in due fazioni, per darsi battaglia tra loro all’aeroporto di Lipsia. E per poco Tony Stark aka Iron Man e Steve Rogers aka Captain American non si ammazzava a vicenda. Sullo sfondo un ex neurochirurgo che apprende dei poteri mistici diventando il custode di un sancta santorum a New York, uno Spiderman di quartiere e un re che ritornando al suo Wakanda deve affrontare delle questioni Interne. Tutto ciò prepara il terreno ad Avengers: Infinity War. L’incipit del film è semplicemente spettacolare e ben si aggancia con Thor: Ragnarok. L’obiettivo di Thanos, il titano pazzo che ritiene se stesso come un rimedio alla sovrappopolazione universale e pensa di essere una misura necessaria e giusta, persino benevola, mentre agli occhi degli altri il suo comportamento appare, correttamente, come una serie di genocidi, è di trovare le sei gemme dell’infinito, le quali rappresentano i vari aspetti fondamentali del cosmo e chi le possedesse tutte raggiungerebbe l’onnipotenza. Il compito degli Avengers e dei Guardiani della Galassia è di cercare di fermarlo, ma come se non bastasse, oltre la sua inarrestabile potenza, si aggiungono anche la sua armata aliena e quattro letali “figli”, L’Ordine Nero, ognuno dei quali è deciso a consegnargli le gemme dell’infinito. In questo lungometraggio si fa sul serio, e i fratelli Russo lo dimostrano anche in seguito, mettendo la firma sul film che ha tutto quello che finora era mancato agli altri Marvel movie: l’epica e lo spettacolo di scontri davvero impressionanti, con grande sfoggio di superpoteri. Il primo siparietto in parte comico è interrotto dalla prima coppia di villain, i quali portano la prima battaglia tra le strade di New York come mai ne avevamo viste in un film prodotto da Kevin Feige. La varietà dei poteri di tutti i personaggi in campo è presa in considerazione, gli avversari non trattengono i colpi e pure gli eroi sono costretti a scatenarsi. Il risultato è lontanissimo dagli strabilianti inseguimenti di Captain America: the Winter Soldier, o dalla rissa, non proprio entusiasmante, del parcheggio dell’aeroporto di Captain America: Civil War. I fratelli Russo sembrano irriconoscibili ed è solo l’inizio. Il secondo scontro in realtà è un passo indietro che fa temere il peggio, con una battaglia in una specie di magazzino ben più terra terra, ed anche l’incontro tra Thor e i Guardiani della Galassia pare virare su un humour troppo caricato e gratuito. Si tratta però solo di una fase di riposo prima che arrivi tutto quello che, dopo venti film, non ci si aspettava nemmeno più: la tragedia, una dimensione davvero cosmica e le leggi della fisica piegate in più modi dalle gemme dell’infinito. Tuttavia la principale novità è che per la prima volta c’è un cattivo di peso, capace non solo di manipolare gli Avengers come Loki, ma di affrontare anche i più potenti tra loro faccia a faccia e di uscirne vincitore. Il lavoro di moption capture realizzato su Thanos è così buono che, al di sotto dei lineamenti alieni, si coglie la recitazione di Josh Brolin, chiamato a interpretare un personaggio bigger than life all’ennesima potenza eppure anche a mostrarne a tratti una inattesa umana fragilità. Meno indimenticabili i suoi figliocci, ma era inevitabile perché persino questo minutaggio monstre limita una vicenda di tale respiro. I luogotenenti di Thanos si svelano così avversari potenti ma dimostrano, quando va bene, personalità tagliate con l’accetta. Le loro azioni e quelle del loro “padre” hanno, però più volte esiti imprevedibili e anche chi conosce bene la Marvel a fumetti avrà di che meravigliarsi di fronte a certi drammatici colpi di scena. Nonostante il film possa essere più riuscito del previsto e forse anche il migliore dell’intera saga Marvel, arriva dopo così tanti altri titoli che vive necessariamente del precedente, di personaggi già definiti, ognuno con la propria storia. Non può insomma essere Avengers: Infinity War a suscitare la conversione di chi per tutto questo ha sempre avuto poco o nessun interesse, anzi per quel pubblico risulterà probabilmente sfiancante nella sua sequela di scontri e scene madri. Del resto si tratta anche di una celebrazione per i fan, della summa di una saga di uni spessore del tutto inedito per la storia del cinema: dieci anni, venti film, cinque malvagi, due supergruppi più qualche cane sciolto e non è nemmeno tutto qui. Infatti, Infinity War era inizialmente diviso in due parti e tale si conferma, poco importa come s’intitolerà il prossimo capitolo, questo si termina con il più puro e radicale dei cliffhanger. Talmente d’impatto che la scena post-credits non arriva al termine della prima parte dei titoli, ma solo alla fine di tutto, molti minuti dopo, per lasciare assorbire quanto più possibile il finale, prima di regalare un’ultima sequenza. Che rilancia ovviamente la palla verso Captain Marvel, il penultimo film della “fase tre” e il primo con protagonista una supereroina Marvel, ossia il seme da cui ripartirà una nuova era.
Salvatore Cuccia
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