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Avetrana – Qui non è Hollywood, perché sospendere la serie è un grave errore. La Recensione dalla Festa del Cinema di Roma

La serie aveva sorpreso molto positivamente la critica a Roma Film Festival. Ma la vera sorpresa è stata la notizia della sospensione della messa su Disney+ in seguito a un esposto del sindaco della cittadina pugliese

Avetrana – Qui non è Hollywood, perché sospendere la serie è un grave errore. La Recensione dalla Festa del Cinema di Roma

La serie aveva sorpreso molto positivamente la critica a Roma Film Festival. Ma la vera sorpresa è stata la notizia della sospensione della messa su Disney+ in seguito a un esposto del sindaco della cittadina pugliese

Avetrana - Qui non è Hollywood

Questa recensione doveva cominciare molto diversamente, da un pregiudizio facile da dissipare. La release del poster ufficiale della serie Avetrana – Qui non è Hollywood, diretta da Pippo Mezzapesa, quest’estate aveva tratto un po’ tutti in inganno, suscitando grande ilarità sui social. La scelta forse poco felice della prima immagine promozionale aveva finito per ricordare pericolosamente una delle parodie di Maccio Capatonda, in particolare il suo Omicidio all’italiana, tanto che lo stesso comico abruzzese aveva postato su X i due manifesti ringraziando Disney+ per l’omaggio. Peccato che la prima, vera sorpresa della Festa del Cinema di Roma 2024 sia stata proprio l’anteprima dei quattro episodi della mini serie prodotta da Groenlandia. La nostra reazione, come quella della stragrande maggioranza della critica, è stata infatti sì di sconcerto, ma in senso decisamente positivo. Se quel poster faceva temere la solita tragica fiction da prima serata, mal scritta e peggio girata, niente si è rivelato più lontano dalla realtà. Almeno, finché la realtà non ha battuto ancora una volta la più fervida immaginazione. E a pochi giorni dalla messa in onda su Disney+, prevista inizialmente per il 25 ottobre, il Sindaco di Avetrana Antonio Iezzi ha chiesto e ottenuto dal Tribunale Civile di Taranto la sospensione della serie.

Prima ancora di vedere Avetrana – Qui non è Hollywood il primo cittadino aveva addirittura richiesto alla Magistratura una vera e propria cancellazione dello show, a meno di una rettifica che avesse del tutto eliminato “Avetrana” dal titolo. La mini serie, dal suo punto di vista, contribuirebbe infatti ai pregiudizi alimentati in tutti questi anni dai media nei confronti della cittadina pugliese e della sua comunità, descritta come violenta, criminale e soprattutto omertosa. Peccato nella serie diretta da Pippo Mezzapesa, quantomeno a un occhio esterno, non ci sia niente di tutto questo. Al contrario, fin dalla primissima sequenza assistiamo a un fenomeno senza precedenti: l’invasione dei pullman carichi di turisti calati in Salento per fare il tour guidato dalla “Villetta degli Orrori”, Casa Misseri, spingendosi fino a Contrada Mosca e il Pozzo Nero dove fu rinvenuto il corpo senza vita della quindicenne Sarah Scazzi. La storia del suo assassinio, le molte verità affermate e negate, ma soprattutto il circo mediatico che investe improvvisamente tutta la cittadina di Avetrana dall’agosto 2010 viene qui descritto attraverso ben altri elementi: la stampa, i giornalisti, i fotografi e i curiosi che superano ampiamente il confine dello sciacallaggio. E in primis i suoi familiari, in particolare Sabrina Misseri, interpretata da Giulia Perulli in modo così eccezionale da risultare quasi indistinguibile dall’originale. Per settimane rivedremo così la cugina di Sarah Scazzi rilasciare decine di interviste Tv, facendo appello alla coscienza dei presunti rapitori, sentendosi finalmente importante, salvo poi essere incriminata insieme a sua madre Cosima per l’esecuzione della cuginetta, rea di aver ostacolato la sua ossessione d’amore per un ventisettenne della loro comitiva, Ivano Russo.

Dati gli eventi degli ultimi giorni, sarà bene partire da quello che il regista Pippo Mezzapesa e gli autori hanno intelligentemente scelto di non fare: mostrare un qualunque genere di ricostruzione dell’esecuzione materiale del delitto. La storia è tristemente nota: Michele Misseri, soprannominato dai media Zio Michele, auto-accusatosi del delitto, dopo aver fornito almeno dieci differenti versioni è stato condannato “solo” per soppressione di cadavere e falsa testimonianza, pena che ha per altro già finito di scontare. E ancora oggi, da uomo libero, continua a professarsi l’unico colpevole. La moglie e la figlia, condannate in tutti e tre i gradi di giudizio all’ergastolo, si professano a tutt’oggi innocenti e restano invece determinate a portare  la loro battaglia legale fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Ma la verità su quanto è accaduto quel pomeriggio tra Sarah Scazzi e la sua amatissima cugina, la sua amatissima zia, resterà probabilmente sempre avvolta dal mistero. La serie non pretende di conoscere i dettagli, le esatte dinamiche di quanto accaduto dietro le mura di una casa privata. Non ipotizza verità assolute ma ripropone con sensibilità ed eleganza le grandi domande che restano indissolubilmente legate alla vicenda. Come ha potuto una tragedia adolescenziale, un dramma fatto magari di lacrime, grida e strepiti, a trasformarsi in strangolamento, occultamento di cadavere, depistaggio sistematico delle indagini e tentativo insistente di manipolare i media? La serie, splendida dal punto di vista formale e stupefacente sul versante delle interpretazioni, procede nell’unica direzione possibile. Scavare nell’interiorità e la psicologia dei personaggi. Mostrare le fragilità, le invidie di Sabrina Misseri per quella cugina così magra, indagare le pieghe del suo corpo, il suo desiderio di mostrarsi finalmente di fronte alle telecamere per tutto quello che non è mai stata: una star, una giovane donna bella e desiderabile, al fianco di quel ragazzo che forse ha giocato e continua a giocare con i suoi sentimenti, sordo e cieco rispetto al dolore indicibile che ha provocato.

I quattro episodi di Avetrana – Qui non è Hollywood prendono così i nome dei protagonisti: Sarah, Sabrina, Michele e Cosima. La ricostruzione della verità processuale sposta così il focus di episodio in episodio su ciascuno dei protagonisti. E in questa serie c’è tutto, tranne che un’analisi superficiale o denigratoria della cittadina e il suo contesto sociale. Piuttosto, il cuore dello show restano le straordinarie interpretazioni di Giulia Perulli, Vanessa Scalera e Paolo De Vita (rispettivamente Cosima e Michele), alle quali si aggiunge quella di Imma Villa nella parte della madre di Sarah, Concetta Serrano. E il lavoro degli attori non risulta incredibile soltanto grazie al trucco e gli effetti prostetici: la somiglianza è costruita su un lavoro millimetrico che va dalla voce alla gestualità e il corpo, dalla sceneggiatura alla una regia che centra un equilibrio praticamente perfetto tra il realismo e la ricerca di immagini evocative, altamente simboliche.

Da un lato, Giulia Perulli prende ventidue chili per entrare letteralmente letteralmente sotto la pelle della ventiduenne che resta il grande enigma di questa vicenda. Dall’altro, la sceneggiatura e la regia indagano il passaggio infinitesimale che trasforma il contrasto in tragedia: il sesso interrotto tra Sabrina e Ivano, un rifiuto che diventa pettegolezzo, l’ingenuità assoluta che fa di Sarah Scazzi una bambina, più che un’adolescente, che cerca forse l’emozione di una soap opera, iniziando ad abbracciare e “messaggiare” proprio l’oggetto dell’ossessione di sua cugina. E infine l’ingenuità del fratello maggiore di Sarah, che pensa giustamente di placare gli animi richiamando Ivano Russo a un comportamento più corretto nei confronti di entrambe, senza immaginare neanche lontanamente di aver innescato una bomba pronta a deflagrare: quella della vergogna e della vendetta.

Perché il Sindaco di Avetrana abbia dovuto presumere che la serie offrisse una rappresentazione denigratoria della cittadina, sarà forse chiarito nelle prossime settimane. Ma per ora molte pesanti domande restano sospese. Può la politica interferire con la libertà di espressione di un autore, un regista o qualunque altro genere di artista? E se pure avesse rappresentano un contesto fortemente degradato, chi può legittimamente operare quella che per molti versi appare come una forma di censura? Sul web così risuonano le stesse domande: la città di Napoli ha forse querelato gli autori di Gomorra? Il New Jersey è stato diffamato da David Chase con I Soprano? E la lista dei quesiti potrebbe continuare ancora a lungo… Quante volte la città di New York avrebbe dovuto fare causa a Martin Scorsese? Quanti Sindaci che si sono avvicendati alla guida di Firenze avrebbero dovuto far sequestrare i documentari dedicati al Mostro? Bloccare l’uscita della serie prima sulla base di un titolo, prima ancora di visionare effettivamente gli episodi, non si presenta come un’operazione fondata a sua volta sul pregiudizio?

Di certo, per noi si tratta di un precedente allarmante. E non possiamo che sperare che possiate presto vedere anche voi questa serie. Perché se il cinema contemporaneo è alla continua ricerca di protagoniste e ritratti femminili forti (basti pensare ai grandi film di Cannes mostrati in anteprima proprio dalla Festa del Cinema di Roma, da Emilia Perez di Jaques Audiard a The Substance di Coralie Fargeat e Anora di Sean Baker, ma anche Fino alla Fine di Gabriele Muccino) è stata proprio la mini serie Avetrana – Qui non è Hollywood di Pippo Mezzapesa a distinguersi a Roma Film Festival come uno dei migliori titoli a tema. Imporsi come un’opera che poteva incontrare il gusto popolare senza rinunciare alla profondità di un’indagine che va ben oltre il true crime, per raccontare una desolazione umana che non trova punti di riferimento se non nel falso mito del romanticismo, della coppia e della famiglia all’italiana: una coltre troppo fragile e sottile per nascondere il disagio, la prevaricazione e la violenza.

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