Babadook: la recensione di Mauro Lanari
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Babadook: la recensione di Mauro Lanari

Babadook: la recensione di Mauro Lanari

Un’idea striminzita, simbolismo freudianeggiante, una regia pur’essa striminzita, scopiazzant’Aronofsky, Polański, “Shining”, il gotico e gl’espessionisti tedeschi, un film “Sundance” ch’è una barzelletta raccontata male per i presupposti a tal punt’infondati da render’impossibile qualunque tentativo d’immedesimazione. S’infatti la protagonista, nonostante lavori da infermiera in un ospizio al reparto demenze, nonostante il figlio altrettanto disturbato a cui i docenti suggeriscon’un’insegnante di sostegno, nonostante amicizie, parenti e frequentazioni, a 6 o 7 anni dal trauma viv’ancora col bambino segregata com’al “Bates Motel” o, per restare in tema, all'”Overlook Hotel”, senza che nient’e nessuno s’accorga della gravità della situazione e intervenga psicoterapicamente, manco il medico che visita Sam(uel) e non riscontr’alcun’anomalia né in lui né in lei, allora siamo nella pazzia e la pellicola si sarebbe potuta salvar’in corner solo col twist conclusivo d’un delirio solipsistico. Avrebbe fatto tanto “Allucinazione perversa”, “Il seme della follia” o “The Ward – Il reparto”, m’almeno la loro “invisibilità sociale” sarebbe stata giustificata, comprensibil’e verosimile, seguendo i dettàmi degl’autori summenzionati. La Kent no, al che tutto l’armamentario d’intenzioni profonde, disturbant’e commoventi va a farsi maledire.

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