Babbo bastardo 2
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Babbo bastardo 2

Babbo bastardo 2

Alcolizzato, volgare, disilluso, e ora pure con qualche mania suicida. Fosse nato in un altro genere cinematografico, come il noir per esempio, Willie Soke avrebbe avuto il destino già segnato. Ma Babbo bastardo è anzitutto una commedia: irriverente, scorretta, provocatoria. E a distanza di 13 anni dal primo film, ecco il sequel, in cui ritroviamo Willie (Billy Bob Thornton) ancora più disperato e sconfitto di prima, nonostante il finale in stile Frank Capra del predecessore, che ispirava ottimismo.

Babbo bastardo 2 rimischia le carte, ricordandoci sin dall’incipit che per un uomo triste nell’animo come Willie, la felicità sia un miraggio nel deserto. Set up ideale per raccontare la nuova avventura, che lo riunisce con l’ex socio (traditore) Tony, il nano di colore, e soprattutto con sua madre Sunny, interpretata da una sboccatissima Kathy Bates, che aggiunge ancora più squallore allo scenario.

I tre mirano a rapinare un’associazione benefica di Chicago la sera del tradizionale concertino di Natale: ennesima azione spregevole che è anche un pretesto per insistere sul concetto di famiglia, qui più centrale che nel primo capitolo. Da un lato, il rapporto tra Willie e sua madre, dall’altro quello tra Willie e Thurman, il bambino obeso e orfano del 2003 che ora è cresciuto e continua a essere attaccato al suo Babbo Natale personale. Se Mamma Soke è lo specchio – e una delle cause principali – della vita degradata del figlio, l’ingenuità e il sorriso contagioso del bambinone riscaldano il cuore marcio di Willie, soffocandone il cinismo. E la novità è proprio questa: sotto quel vortice di volgarità, sesso e alcol, c’è un Willie inaspettatamente più tenero, che in qualche modo cerca il suo happy end.

Non travisate, comunque, la tradizione di Babbo bastardo non cambia: di scorrettezza ce n’è in abbondanza, forse anche più del primo capitolo come vogliono le ferree regole dei sequel. Il problema è che se spingi sull’acceleratore dell’irriverenza, rischi anche di perdere l’equilibrio, e infatti la narrazione appare a tratti slegata, fedele più a schemi già tracciati in passato (compresa la battuta cult “scopami Babbo Natale!”), piuttosto che a nuove dinamiche, comiche e non.

Rischio però sempre calcolato da operazioni di questo tipo e quindi da mettere in conto. Meglio, dunque, godersi senza pensieri i dialoghi tra i protagonisti, veri e propri festival dell’insulto, e riflettere su un fatto: se anche per uno come Willie Soke c’è speranza, allora la vita può davvero essere affrontata con spirito più positivo.

Mi piace
Ci vuole classe anche per essere volgari. E di classe Billy Bob Thornton ne ha da vendere.

Non mi piace
Un po’ più di coraggio e originalità in gag e trama non avrebbero guastato.

Consigliato a chi
Non crede nei miracoli di Natale… e sentiva la mancanza di Billy Soke.

Voto: 3/5

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