Beautiful Boy: la recensione di Jole de Castro
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Beautiful Boy: la recensione di Jole de Castro

Beautiful Boy: la recensione di Jole de Castro

Un padre e un figlio che lottano contro qualcosa di più grande e ineluttabile. E’ un film particolare questo di Felix Van Groeningen, non per tutti, forse. Indubbiamente forte, intenso come un pugno nello stomaco per le scene crude, prive di sconti ma anche delicato, intimo. Non ci sono scenari clamorosi, immagini turbolente, qui è tutto condensato, interiorizzato, negli sguardi e nella postura dei due protagonisti, quelli di un padre che arriva addirittura a provare personalmente la droga, per cercare di capire cosa prova il figlio. Un approccio un po’ nuovo in effetti, che gioca tutto sui sentimenti e meno su ciò che accade. Un po’ frammentaria la narrazione, che alterna scene del passato a quelle del presente, con un ritmo lento, molto rilassante e una colonna sonora a tratti un po’ spiazzante, forse non proprio azzeccata. Multiforme la personalità del protagonista, Nick Sheff, cui presta il volto (forse un po’ troppo pulito) quel Timothee Chalamet che deve la sua fama alla sua interpretazione in Call my by your name di Guadagnino. Poco ha in comune l’attore prodigio, almeno sulla carta, con questo ragazzo scapestrato, che supera i limiti senza battere ciglio ma quello che conta è che lui riesce comunque a fare quel che deve anche in questo questo ruolo così inedito e difficile, e a metterci del suo. Un’interpretazione sofferta e personalissima quella che ci regala, forse anche troppo. Dal suo sguardo traspare perfettamente il dolore, lo smarrimento e la disperazione di chi ricasca sempre nello stesso sbaglio ma forse non quel senso di vuoto e di perdizione che sempre attanaglia chi fa uso di droghe, quell’angoscia muta che solo chi ha toccato il fondo può provare, quel dolore senza lacrime che ti scava dentro, come un tarlo silenzioso. Buona dunque la sua prova attoriale ma forse non perfetta, si ha come la sensazione che qualcosa manchi, a momenti abbiamo quasi la certezza di trovarci dentro un film e quando questo succede non è mai un buon segno. Sicuramente più centrata è la performance di Steve Carell, fatta tutta di sottrazioni e di spalle curve, anche se in alcuni momenti come la scena finale o quella al telefono, avrebbe potuto esprimere qualcosa di più. Vale la pena, a questo proposito, dare anche solo un’occhiata alla prova inarrivabile di Robert De Niro, nel film “Colpevole di omicidio”, dove nell’unica scena finale riscatta un’intera pellicola non proprio memorabile.
Nel complesso, Beautiful boy è sicuramente un buon film. Ottimi i comprimari come Maura Tirney ed Amy Ryan nelle parti rispettivamente della matrigna e della madre di Nick Sheff, sempre presenti e profondamente partecipi dell’intera vicenda. Un film intenso, che ci fa vedere quanto sia terribile la droga, in tutte le sue declinazioni e varianti, quando ti avvolge con i suoi tentacoli e quanto sia difficile fare il genitore su questa terra. Fare il padre per David Sheff, ai cui ricordi attinge per metà la sceneggiatura, vuol dire esistere per qualcun altro, identificarsi con lui, respirare, sentire, vivere come lui e non trovare pace finchè lui è dannato. Non c’è salvezza, non c’è via di scampo. Solo l’amore può salvare.

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