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Beetlejuice Beetlejuice: lo spiritello porcello di Tim Burton è tornato! La recensione da Venezia 81

Il regista ritrova Michael Keaton e Winona Ryder per l’atteso sequel dell’iconico Beetlejuice (1988), cult degli esordi dell’autore. Al loro fianco, nel film d’apertura di Venezia 81 dal 5 settembre al cinema, le new entry Jenna Ortega e Monica Bellucci

Beetlejuice Beetlejuice: lo spiritello porcello di Tim Burton è tornato! La recensione da Venezia 81

Il regista ritrova Michael Keaton e Winona Ryder per l’atteso sequel dell’iconico Beetlejuice (1988), cult degli esordi dell’autore. Al loro fianco, nel film d’apertura di Venezia 81 dal 5 settembre al cinema, le new entry Jenna Ortega e Monica Bellucci

Beetlejuice Beetlejuice recensione
PANORAMICA
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Dopo un’inaspettata tragedia familiare, tre generazioni della famiglia Deetz tornano a casa a Winter River. Ancora perseguitata da Beetlejuice (Michael Keaton), la vita di Lydia (Winona Ryder) viene sconvolta quando la figlia adolescente e ribelle, Astrid (Jenna Ortega), scopre il misterioso modellino della città in soffitta e il portale per l’Aldilà viene accidentalmente aperto. Con i problemi che stanno nascendo in entrambi i regni, è solo questione di tempo prima che qualcuno pronunci tre volte il nome di Beetlejuice e il demone dispettoso torni nuovamente per scatenare il suo caos.

Ce ne ha messo di tempo Tim Burton per tornare sulle orme del suo primo successo commerciale, aggiornandolo a oltre tre decenni di distanza dal capostipite. Nel film originale una giovane coppia di sposini, Adam (Alec Baldwin) e Barbara (Geena Davis), moriva in un incidente d’auto e si ritrovava prigioniera della sua villetta, rivolgendosi al disgustoso e rivoltante Betelgeuse, sboccato demone specializzato in “esorcismi di viventi”, per spaventarli e perseguitarli.

In Beetejuice, campione d’incassi a basso budget dallo spirito cormaniano, c’era già molto – se non tutto – dell’immaginario di Burton, cineasta da sempre attento a cesellare la propria ispirazione dark e bizzarra, facendola dialogare con un’ode ai reietti, non di rado connotati da un senso dell’umorismo funerario. I toni erano quelli della commedia camp dalle venature gotiche, in cui il ribaltamento dei classici connotati della vita e della morte creavano un bizzarro cortocircuito horror: erano infatti i fantasmi a dover allontanare i vivi (e non più il contrario), in virtù di uno di quegli strampalati paradossi cui l’estro di Burton deve tradizionalmente molto del suo combustibile.

In Beetlejuice Beetlejuice l’approccio da commedia nera dal sapore kitsch, che flirta puntualmente con la seduta spiritica e con l’evocazione di un Aldilà corporeo, irriverente e dai tratti prettamente anglosassoni e protestanti, è nuovamente spinto sul pedale dell’acceleratore, con esiti abbastanza fluidi e indiavolati e un certo, quanto evidente, piacere da parte di Burton nel rimettere mano a una delle sue creature più singolari e decisive.

L’umorismo più cafone e pecoreccio dell’originale è chiaramente smussato alle luce di una sensibilità giocoforza meno anni ‘80, col tentativo evidente di accogliere dentro di sé anche l’immaginario nostalgico potente e levigato di Stranger Things e di strizzare ampiamente l’occhio alla coolness performativa ed infinitamente “memabile” di Mercoledì, la serie Netflix che Burton ha realizzato con Jenna Ortega, nuovo perno generazionale anche del sequel di Beetlejuice. Il suo personaggio fa il pieno di scetticismo tagliante e amare e lucide consapevolezze da generazione Z, dimostrandosi ben poco incline a sospendere l’incredulità rispetto al passato a tinte goth della madre e alle insopprimibili e proverbiali stranezze cui il suo nome è da sempre associato, con tanto di programma sul piccolo schermo al quale nel frattempo si è dedicata. 

Beetlejuice Beetlejuice, che di Mercoledì ripropone anche gli sceneggiatori Alfred Gough e Miles Millar e schiera nel cast anche Monica Bellucci, compagna attuale di Burton, nei panni della vendicativa e “ricucita” ex moglie del bio-esorcista, Delores, non innova chiaramente l’immaginario burtoniano, da sempre restio a slittamenti sostanziali e nuove cornici di senso, ma si limita a fornirne un nuovo gradevole “perfezionamento”, collocabile dalle parti della tirata a lucido, senz’altro contemporanea ma anche gioiosamente anacronistica.

Non ci sono idee né grafiche né umoristiche all’altezza di certe fulminate trovate del primo film, ma a coccolare i fan del predecessore ci pensa soprattutto un turbinio crescente di virate psichedeliche, che si fa carico di far esplodere molti dei temi e degli elementi visivi che nel capostipite erano più latenti e che qui vengono anche più didascalicamente esplicitati (omaggi a Mario Bava compresi). A cominciare ovviamente dall’ineluttabilità del dolore e della sofferenza e dalla persistenza forzata della vita oltre la morte, con tutto ciò che di meccanizzato, strambo e paradossale tale assunto porta con sé in termini di irresistibili coreografie mortifere e slanci visionari.

Foto: Warner Bros., Plan B Entertainment

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