Bentornato Presidente è il sequel, sei anni dopo, di Benvenuto Presidente, successo al botteghino da 8 milioni e mezzo di euro con Bisio come mattatore. Vi si raccontava l’approdo alla politica del “buon selvaggio” Giuseppe “Peppino” Garibaldi, pescatore di trote che veniva insidiato come presidente della Repubblica per un banale caso di omonimia e che, nonostante inesperienza e naivÏté, riusciva a dare una scrollata morale al Paese, ritirandosi poi nuovamente tra i suoi boschi.
Formula che vince non si cambia, grosso modo. Soggetto e sceneggiatura sono sempre firmati da Fabio Bonifacci (questa volta senza Luca Miniero, ma in collaborazione col produttore Nicola Giuliano), la regia da Riccardo Milani è passata alle mani dei registi lucani Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi, mentre Kasia Smutniak è stata sostituita da Sarah Felberbaum.
Il film inizia con Peppino, che a otto anni di distanza dalla sua elezione al Quirinale vive il suo idillio sui monti con Janis e la piccola Guevara. L’uomo non ha dubbi: preferisce la montagna alla campagna… elettorale. Janis, invece, a fare “Elsa di Frozen” in una baita sperduta nel nulla non ci sta, si sente soffocata e soprattutto non riconosce più in lui l’uomo appassionato che voleva cambiare l’Italia. Richiamata al Quirinale come funzionario nel momento in cui il Paese è alle prese con la formazione del nuovo governo, Janis lascia Peppino e torna a Roma con Guevara. Peppino, disperato, dopo aver sfogato la disperazione per tre mesi abbattendo alberi a colpi di accetta, abbandona il paesello e accetta l’incarico di Presidente del Consiglio solo per stare vicino a Janis e alla figlia.
Qua realtà e finzione si sovrappongono. Lega e Cinquestelle hanno litigato per mesi su chi dovesse fare il premier, scegliendo alla fine Giuseppe Conte. Nel film Matteo Salvini incarnato da Paolo Calabresi, alias Teodoro Guerriero, il leader perennemente rabbioso di “Precedenza Italia” e Guglielmo Poggi, nei panni di Danilo Stella (aka il pentastellato Luigi Di Maio), l’ambiguo capo del “Movimento Candidi”, scelgono anche loro un Peppino, convinti di poterlo manovrare come un burattino.
La prima parte impenna, scandita da continue stoccate ai politici contemporanei, ostaggio di “storytelling” ed esperti di comunicazione che affollano le stanze del potere. Se Guerriero si allena a inveire ogni volta che una telecamera lo inquadra, Stella è tutto un selfie e un tweet di commento a ogni avvenimento, strenuamento impegnato ad avvolgere i propri elettori in una bolla dove viene confezionata una realtà ad hoc.
Ma è nella descrizione dell’ormai defunto PD di Renzi, interpretato da Marco Ripoldi nei panni di Vincenzo Maceria, leader di “Sovranità democratica” – che anche con i nuovi leader sembra continuare ad avvitarsi su se stesso – che il film raggiunge l’apice satirico, mostrando dibattiti interminabili sul nulla, mentre in sovrimpressione il countdown dei giorni che mancano alle primarie aumenta invece che decrescere col trascorrere delle ore.
Peppino, inizialmente concentrato solo sulla riconquista di Janis e disinteressato al Paese, costringe lo spin-doctor Ivan incarnato da Pietro Sermonti – di cui è geloso – a scrivere leggi su leggi per tenerlo lontano da lei, finendo però così per appassionarsi nuovamente alla res publica e alla possibilità di fare la differenza.
Rispetto alla prima parte sagace e molto ritmata, il finale con invito generale a pagare tutti le tasse – nessuno escluso, neppure chi è precario, neppure chi è strozzato dalle aliquote – ci appare poco consequenziale rispetto alle premesse, e un po’ troppo paternalistico. Prima si descrive una classe politica futile e fasulla e poi si vorrebbe risolvere tutti i problemi con un appello generale alla non evasione fiscale? Attribuire l’inazione del Governo attuale e precedenti solo all’assenza di fondi sufficienti ad avviare le riforme ci sembra poco convincente come motivazione, pur giocandosi la partita nel campo della fiction.
Se si eccettua, però, questo passaggio logico un po’ arbitrario, il film scorre bene e regala la possibilità di ridere su una realtà tutt’altro che comica, facendo i conti col presente.
È un instant movie come pochi se ne fanno in Italia (mirabile dal punto di vista del montaggio e della messa in scena), che racconta l’Italia di oggi, anticipando alcune cose e arrivando in ritardo su altre.
Quello che, infatti, non aveva immaginato è che in questi giorni l’idillio gialloverde si sarebbe spezzato, ponendo Lega e Movimento in forte attrito. Ma questa è un’altra storia…
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