Visionario, barocco, surrealista, eccentrico, vate dell’immaginazione e della fantasia al potere, pure dark e gotico, dopo 20 anni (“Ed Wood”, 1994) torna alle prese con un biopic, una storia vera sulla finzione dell’arte imprigionata nella menzogna e nel furto d’identità autoriale nonché sull’’arte praticata da autodidatti o da pittori naïf [quant’originali] mai istituzionalizzati[si]” nell’epoca del pop warholiano, del kitch, della Factory, del marketing, della massificazione, della benjaminiana “riproducibilità tecnica”: ce n’era di materiale succulento per aspettarsi un Burton diverso dal solito e interessato a esprimere la propria posizione a riguardo. Invece n’esce fuori solo un pastellato pasticcio di critica sociale, di rivalsa matrimoniale e d’emancipazione femminile. Prove d’attori acclamate o disprezzate a seconda del personale parere sull’overplaying, ma l’occasione reale è stata gettata via.
© RIPRODUZIONE RISERVATA