Alcuni concept cinematografici sono così assurdi da esigere una resa filmica altrettanto folle. Quando hai a disposizione una base narrativa che vede Samuel L. Jackson presidente degli Stati Uniti, disperso nei boschi finlandesi, cacciato come un animale da un gruppo di terroristi, il buffet è già abbastanza ricco. La ciliegina sulla torta è un bambino del posto che, abbandonato nella foresta secondo un rito di iniziazione locale, diventa la miglior guardia del corpo che l’uomo più potente del mondo abbia mai avuto.
Invece Big Game – Caccia al presidente non riesce a giocare la grossa carta nel suo mazzo: la spensieratezza. E per spensieratezza intendiamo quella leggerezza in grado di aumentare la sospensione della realtà in un film eccessivo in tutto, con trovate improbabili che comunque acquistano un senso nell’economia della storia. Questa avventura action, al contrario, sembra prendersi troppo sul serio nel tratteggiare le dinamiche tra i due protagonisti e i villain. Quasi come se avesse paura di osare. Di “americanate” ce ne sono (la discesa per la montagna dentro un frigorifero, per esempio), ma troppo calcolate, senza la giusta dose di follia in grado di renderle imprevedibili. Tutto si fonda sul rapporto tra Jackson e il giovane Onni Tommila (nipote del regista Jalmari Helander): se l’attore feticcio di Tarantino si limita al compitino, la vera sorpresa è la sua piccola co-star, mini-Rambo che vuole a tutti i costi rendere fiero suo padre terminando con successo la sua missione isolata nei boschi, nella sua cultura rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta (lo scopo è sopravvivere ogni 13esimo compleanno nella foresta, riportando al villaggio un trofeo di caccia). «La foresta ti regala quello che meriti» è il suo mantra. E dal cielo, gli cade il numero uno americano, espulso dall’Air Force One in seguito a un attentato.
I siparietti tra lui e il presidente sono il pezzo forte del film, che non ha la stessa verve del lavoro precedente di Helander, Trasporto eccezionale – Un racconto di Natale, dove Santa Claus in persona veniva rapito da casa sua. Sarà forse per la voglia di “fare il colpaccio” e adattare il film ai canoni di distribuzione di massa (degli States), ma Big Game gioca troppo secondo le regole invece di prendersi le licenze che il soggetto di partenza richiedeva. Peccato, perché con un potenziale simile, c’erano i presupposti per diventare un piccolo cult trash.
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Mi piace:
La performance di Onni Tommila, un mix di innocenza e coraggio.
Non mi piace:
L’approccio serioso nello sviluppare un soggetto che voleva solo scatenare la sua follia.
Consigliato a chi:
Vuole vedere un bambino combattere i terroristi con arco e frecce.
Voto: 2/5
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