Birdman - O l'imprevedibile virtù dell'ignoranza: la recensione di eliabei
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Birdman – O l’imprevedibile virtù dell’ignoranza: la recensione di eliabei

Birdman – O l’imprevedibile virtù dell’ignoranza: la recensione di eliabei

Alejandro González Iñárritu. Questo è il nome che dovrà risuonare al Dolby Theatre di Los Angeles il prossimo 22 febbraio. Alejandro González Iñárritu. Si, perché il messicano, alla sua quinta opera, ha realizzato un autentico gioiellino registico. Sofisticato, poetico e dannatamente arrogante. Un film che nessuno si aspettava (soprattutto dal regista di 21 grammi) perché nessuno credeva di averne bisogno e invece si, era fottutamente necessario. Un po’ per tutti.

E’ un film necessario per il pubblico (spettatori addetti ai lavori e non) perché è un film strettamente legato al rapporto con esso. I lunghi piani sequenza ci conducono in un tunnel senza uscita (i bui corridoi del teatro, il teatro stesso), trascinati dallo sguardo dei protagonisti (meta-attori). Un lungo, interminabile, respiro che il montaggio del finale ci toglierà, togliendoci la vita insieme all’uomo Riggan nell’ultimo fotogramma. Lo definisco uomo si, perché nel finale suicida, i due Riggan (attore e celebrità) si incontrano e formano, finalmente, l’uomo Riggan.

BREVE DIVAGAZIONE – SPOILER

La trama del film è interamente incentrata sulla lotta interiore del protagonista. L’attore contro la celebrità, il bene contro il male, la decadenza contro la gloria. Nel finale, la lotta si conclude. Il nostro affezionatissimo protagonista si getta dalla camera d’ospedale dove è ricoverato, la figlia Sam arriva sul posto per prima e capisce. Guarda in basso e, anche se Iñárritu non ci dà la soddisfazione di vederlo è inevitabile, il padre è sdraiato al suolo senza vita. Ciò nonostante, la ragazza alza gli occhi al cielo e sorride perché il padre ha raggiunto il suo scopo. Ha imparato ad essere uomo, ha imparato a volare nella vita reale e non solo nella fantasia del cinema. E’ l’attore e il supereroe, è il personaggio di What We Talk About When We Talk About Love di Raymond Carver e Birdman, è finalmente Riggan Thomson.

TORNIAMO A NOI.

E’ un film necessario per gli attori protagonisti (quelli veri) per tornare sotto i riflettori e dimostrare quello che sono: attori appunto, non decadenti celebrità. Michael Keaton, il “Batman” di Tim Burton, consacrato forse troppo presto e per questo dimenticato troppo presto, ha qui la sua rivincita personale. Keaton sembra volerci dire: “Eccomi qui, sono tornato, anche se forse non me ne sono mai andato, nell’olimpo dei grandi attori di Hollywood.” Edward Norton, l’attore prodigio di pietre miliare come “Fight club” e “La 25° ora”, dopo la caduta di stile con “L’incredibile Hulk”, anche lui torna ad occupare il posto che gli spetta. Quello che per troppo tempo ha lasciato ad attori fuochi di paglia osannati per mancanza di alternative. Emma Stone, anche lei non si lascia scappare l’occasione di dimostrare di essere un’attrice e non solo la fidanzata di Spiderman. Una domanda (semplice ma allo stesso tempo provocatoria). Sarà un caso che i tre attori principali abbiano tutti avuto a che fare con ruoli in blockbuster di supereroi? Unico pesce fuor d’acqua attoriale è forse Naomi Watts, costretta in un personaggio che ricorda troppo l’insicura Betty di Mulholland Drive e che non gli permette di reinventarsi.

E’ un film necessario per il cinema perché l’operazione di Iñárritu dimostra che è ancora possibile realizzare film geniali senza orpelli, senza trucchi e inganni visivi (non che nel film non ve ne siano affatto). Attori di talento, una troupe ben addestrata e qualcuno che scriva una sceneggiatura narrativamente perfetta e che dica loro cosa fare. Questo è il cinema, questo è ciò che serve per farlo e farlo al meglio anche.

Iñárritu lo sa e ce lo dimostra. Abbandona il suo amato destino, così tanto presente nei suoi precedenti lavori, e rischia il tutto per tutto. Sfida i mostri sacri della settima arte. A questo proposito, non posso fare a meno di pormi (e di porvi) alcune domande:

Sarà un caso che le scene iniziali del film ricordino così tanto il Making The Shining realizzato da Vivian Kubrick dietro le quinte del film di suo padre? Keaton/Nicholson scende le scale che lo conducono dal camerino al palcoscenico/set, con tanto di saluto ad un membro della troupe che incontra per caso e la macchina da presa, furtiva, che lo pedina alle spalle. Sarà un caso (o destino che dir si voglia), o Iñárritu stavolta si assume le responsabilità delle sue scelte e delle azioni dei suoi personaggi? Sarà un caso che in molte scene notiamo nei pavimenti dei corridoi del teatro la stessa fantasia geometrica dell’Overlook Hotel? Sarà un caso che lo stesso regista definisca il set del film un labirinto e a me viene spontaneo pensare al labirinto innevato ideato da Kubrick? Sarà un caso che Birdman sia interamente girato in steadycam, tecnica usata per la prima volta nella storia per le riprese di Shining?

Caso o non caso, destino o non destino, Alejandro González Iñárritu ha colto nel segno.

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