Black Bag: può una spia essere fedele? La recensione del film di Steven Soderbergh
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Black Bag: può una spia essere fedele? La recensione del film di Steven Soderbergh

In uscita nelle sale cinematografiche italiane dal 30 aprile, la nuova incursione spionistica del prolifico regista di Ocean’s Eleven vede un cast all star capitanato da Michael Fassbender e Cate Blanchett, coniugi la cui relazione viene messa a rischio da un tradimento interno all’agenzia di spionaggio per cui lavorano.

Black Bag: può una spia essere fedele? La recensione del film di Steven Soderbergh

In uscita nelle sale cinematografiche italiane dal 30 aprile, la nuova incursione spionistica del prolifico regista di Ocean’s Eleven vede un cast all star capitanato da Michael Fassbender e Cate Blanchett, coniugi la cui relazione viene messa a rischio da un tradimento interno all’agenzia di spionaggio per cui lavorano.

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Steven Soderbergh, prima di essere uno degli autori più versatili in attività, è anche uno dei pionieri delle nuove strade intraprese dalla settima arte. Basti solo pensare alla grande responsabilità che ha avuto nel legittimare il dispositivo iPhone, simbolo di un cinema a portata di tutti, come strumento di ripresa professionale.

Dopo l’esordio folgorante, Palma d’Oro a Cannes con Sesso, Bugie e Videotapes, Soderbergh ha continuamente sperimentato qualsiasi impianto produttivo (dal film a micro budget al kolossal fino alla miniserie) e qualsiasi genere, spesso e volentieri ribaltando certi stilemi prestabiliti: nel suo ultimo lavoro, Presence, destruttura la ghost story, facendo coincidere il punto di vista della camera con quello di una misteriosa entità spiritica che infesta l’abitazione dei protagonisti.

Con Black Bag quindi sembrerebbe tornato a una sorta di comfort zone, ovvero a una produzione hollywoodiana di medie dimensioni con una precisa patina glam thriller che il regista rievoca dalla trilogia degli Ocean’s. George (Michael Fassbender), spia dal rigido codice morale, si ritrova a dover rintracciare una talpa tra una serie di sospettati (Tom Burke, Marisa Abela, Naomie Harris e Regé-Jean Page), tra i quali figura anche sua moglie (Cate Blanchett).

Pur con un incipit così inflazionato e ordinario, Black Bag non può che destare il fascino che si prova davanti a un macchinario in cui ogni ingranaggio funziona al suo meglio. Il primo grande motivo dietro questo risultato va cercato nella volontà di lavorare con “poco”, a partire dalla durata esigua (94 minuti), condizione ormai più unica che rara nell’industria attuale. Non vi è spazio per il superfluo o la divagazione: il mondo della narrazione è racchiuso nella missione del suo protagonista e nei comprimari che si ritrovano invischiati in questo intreccio.

L’azione, nel senso stretto del termine, non trova posto in questa equazione e viene relegata in brevi e sporadici segmenti. Le sequenze più concitate sono, invece, le più statiche: confronti durante cene improvvisate, scambi sul posto di lavoro o interazioni nel privato della propria dimora. Ancora una volta Soderbergh fa incursione in un genere, sovvertendo alcuni dei suoi elementi chiave. Così il dinamismo di una consueta spy story viene ridimensionato in una commedia da camera di identità quasi pirandelliana, dove il gioco delle parti prende il sopravvento sulle questioni geopolitiche.

Se, infatti, l’obiettivo apparente del protagonista (un algido Fassbender, ormai archetipico da The Killer di David Fincher) consiste nello sventare una potenziale minaccia su livello globale, diventa fin da subito chiaro che il suo agire sia esclusivamente veicolato dal verificare la fedeltà della moglie. L’intrigo di carattere politico si restringe al racconto di una coppia, messa in discussione dalle esigenze della loro vita professionale, nonché dall’ambiente esterno a questo nucleo.

In un periodo storico di verità effimere, modificabili e offuscabili per egoiste necessità o discutibili ideali, Black Bag evidenzia in un dilagante individualismo la principale tossicità della società contemporanea; al tempo stesso, espone chiaramente una possibile soluzione: ripartire come collettività dal più essenziale dei legami interpersonali, combattendo l’incertezza del presente con la fiducia verso le persone con cui si sceglie di trascorrere la propria esistenza.

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