182 milioni di dollari in oro farebbero gola a chiunque. Soprattutto a un ex comandante della Marina che ha dedicato la sua vita a guidare sottomarini per ritrovarsi licenziato dalla sua compagnia senza complimenti. Jude Law è l’ufficiale Robinson in Black Sea, thriller di Kevin MacDonald (L’ultimo Re di Scozia) in cui l’attore inglese si lancia in una missione di recupero – e dal carattere piratesco – che sa di occasione della vita: scovare il tesoro nazista rimasto sepolto in un sottomarino russo nelle profondità del Mar Nero. Serve una squadra di uomini capaci, metà inglesi e metà russi, essendo in acque sovietiche. Un equipaggio eterogeneo, che però è una bomba a orologeria pronta a esplodere. Nonostante la promessa di dividere tutto in parti uguali, infatti, l’equilibrio che tiene uniti i protagonisti è precario sin dall’inizio. Per differenze culturali, che provocano diffidenza reciproca, e per la posta in palio, troppo alta per non dare alla testa.
Funziona bene Black Sea, un thriller psicologico con sottostesto anticapitalista, che sfrutta l’ambiente sottomarino per raccontare una storia di avidità, voglia di rivalsa e mera follia. Gli stereotipi narrativi ci sono, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi – vedi il ragazzino che sta per diventare padre, il claustrofobico, il taciturno ma risoluto -, ma anche senza sorprendenti colpi di scena, la sceneggiatura di Dennis Kelly rende il sommergibile un regno di vendetta e morte. Più si inabissano, più i protagonisti perdono lucidità e le dinamiche di gruppo si sgretolano. Il film è sporco e soffocante, e gioca con i generi sfociando nel survival movie e nello sci-fi: i palombari che camminano sul fondale marino sembrano astronauti che si muovono sulla luna, l’opprimente oscurità del Mar Nero richiama quella dello spazio di Gravity, e il senso di isolamento che colpisce l’equipaggio è molto vicino allo stato d’animo dei membri della Nostromo in Alien.
Jude Law, che ha lavorato su fisico e accento, interpreta un antieroe ricco di sfumature e lati oscuri, che cerca di riprendersi la famiglia che lo ha lasciato (moglie e figlio compaiono in brevi flashback spensierati sulla spiaggia, come unico accenno alla backstory del personaggio). Da capitano deve guidare i suoi verso il tesoro e la salvezza, ma la gloria, qui, non è di casa. A fare da motore delle decisioni di Robinson, piuttosto, è una voglia di riscatto sociale e personale, che presto si tramuta in autentica ossessione.
«Nello spazio nessuno può sentirti urlare», recitava la tagline del capolavoro di Ridley Scott. Nemmeno nelle profondità degli abissi, sembra aggiungere MacDonald.
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Mi piace:
La scrittura classica ma equilibrata e il senso opprimente della storia.
Non mi piace:
Uno schema narrativo senza grosse sorprese e personaggi un po’ troppo stereotipati.
Consigliato a chi:
Cerca suspence sotto i mari, con un Jude Law in gran forma.
Voto: 3/5
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