Blade Runner 2049: la recensione di Antonio Montefalcone
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Blade Runner 2049: la recensione di Antonio Montefalcone

Blade Runner 2049: la recensione di Antonio Montefalcone

“Blade Runner 2049”, suggestivo, futurista, esteticamente raffinato, è il degno sequel del cult del 1982. Simile e diverso dalla pellicola di Scott, la cui forza emozionale, profondità e carattere innovativo restano ineguagliabili e insuperabili, il film si mostra organico, con una propria identità, ricco e potente – soprattutto a livello tecnico e visivo – e complementare al predecessore. Un’opera riuscita, una delle migliori, più coinvolgenti e interessanti del regista e del 2017. Un film ambizioso, audace, affascinante, a suo modo complesso e filosofico.
Forse è un po’ esagerato o prematuro gridare al capolavoro, ma “Blade Runner 2049” è davvero un film enorme, attraversato com’è da una sottile, malinconica solitudine esistenziale, generata dalla consapevolezza dell’impossibilità di poter esprimere tutto ciò che si vorrebbe, a prescindere dai dettami della propria natura, umana o replicante che sia. La trama noir si sovrappone completamente ai tanti interrogativi su identità e umanità che stanno al centro del racconto. Le questioni tematiche e filosofiche sono qui un aspetto centrale – benché non totalmente compiute in maniera esauriente. L’idea di base è vincente, seppur poco rivoluzionaria, ma lo script rivela una pochezza di fondo nel trattamento tematico o nella fragilità di certi dialoghi; ingarbugliandosi su certi punti e nel suo voler essere profondo, risulta però minimale, e spesso improbabile, poco convincente o inconcludente.
La visione immaginifica di Villeneuve però è un omaggio e una dichiarazione d’amore al capolavoro di Scott, inesauribile e inestimabile fonte d’ispirazione: del suo universo vi riprende e conserva l’essenza, ma lo espande e approfondisce ulteriormente.
Visivamente perfetto, in alcuni punti rarefatto in modo quasi sperimentale, e con una forza scenica da pelle d’oca, il film è un trionfo di luoghi, luci, ombre e colori atti ad esaltare per armonia o contrasto gli animi dei personaggi, le atmosfere opprimenti e dolenti, l’aspetto cupo e tragico dei risvolti tematici.
Le pause introspettive impongono il ritmo, il tono e il registro; Gassner crea magniloquenti scenografie ricche di finezze e nostalgia; la musica, contrappunto suggestivo, si sviluppa nelle pieghe profonde del plot; il grigio ghiaccio, i colori fumosi, le tinte blu scuro e le tonalità argilla si mescolano in una tavolozza che dà forma a panorami distopici e interni asfissianti (eccelso anche il comparto VFX e un lodevole artigianato); il direttore della fotografia Roger Deakins rende la meraviglia più grande: la sua luce, i suoi colori dipingono disperata poesia e perfezione stilistica in ogni immagine, fondendo magistralmente il suo sguardo con quello del regista. Scene silenziose pregne di intensi sguardi degli attori (tutti bravi) si alternano ad azione, violenza e spettacolarità, metafore di un mondo sempre invivibile, e la pellicola diventa così un’esperienza cinematografica stupefacente (nel vero significato del termine), intensa e importante, da vedere assolutamente al cinema per coglierne ogni traccia figurativa, sensoriale, espressiva.
Fantascienza curata, matura e umanista che parla alla testa e al cuore del pubblico, ha la sua magia proprio nella sua capacità di saper trasmettere quel senso di ineluttabilità dal sapore tragico e lirico allo stesso tempo, riflesso di mancanze, fragilità e incompiutezze a cui condanna l’esistenza. In questa stessa sospensione è lasciato anche lo spettatore, avvolto nelle cupe situazioni, atmosfere e suggestioni vissute dai protagonisti, perennemente in equilibrio tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Il progresso è realmente tale? Chi è davvero un replicante? Chi un essere umano? Chi è stato creato e chi no? Qual è la vera differenza? Ma soprattutto, chi siamo veramente noi? Cos’è l’uomo? Lo sguardo verso un immaginario futuro non fa che riecheggiare i dilemmi sociali, morali e identitari del nostro presente. Si è annullato il confine fra uomo e macchina sintetica. Continua lo sfruttamento dell’uomo sul suo simulacro, o dell’uomo sull’uomo. La deriva dell’umanità è ormai senza controllo. Per quanto si voglia cercare delle soluzioni o delle risposte nel futuro, la verità risiede sempre altrove, forse in noi, forse da nessuna parte…

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