“E’ un albero”, “Non ho mai visto un albero”, “E’ morto”. 6/10/21.
Dopo alcuni lustri ecco arrivare il capitolo after-sequel del ‘Blade Runner’ (1982) di Ridley Scott che (per chi non gradisce il piccolo) si consiglia di vedere sul grande schermo per apprezzarne l’immaginario, l’ambientazione e lo stile maestoso con la musica di Vangelis (schiumante di vertigine e di bellezza in apice). Rivederlo e rivederlo per non mascherare la ‘grandezza’ di un regista come l’inglese oggi (quasi) dimenticando nonostante prosegue un lavoro ‘non di routine’ da quarant’anni. Il regista più volte aveva manifesta di girarne un capitolo successivo della sua opera (da un racconto di Philip Dick) ma lungaggini, sceneggiature, rimandi, produzione (o non proprio il suo chiodo fisso) hanno interrotto il progetto più volte … ed ecco arrivare ad oggi come (se la lunga attesa) un film mai visto (chi sa se molti che vedranno il 2049 hanno già visto il 2019?!).
Bastano pochi attimi per leggere le didascalie di introduzione per avere il ‘piacere’ di sapere molto. E le scritte minime, quasi illeggibili, il titolo in alto, senza enfasi, con un numero quasi da aggiungere, chiariscono che lo sguardo sarà (quasi) sempre verso l’alto (aspirazione di livello, infinito mondo, blade che taglia l’orizzonte e runner veloce per seguire lo spazio vuoto).
Legato (da un filo sottile) per delle sequenza a se stanti con dovizia di particolari del nulla, di colori appassiti e di ambienti alquanto iperbolici.
Attraenti quadri oltre il confine, uno sguardo nel futuro pieno di vuoti, come asettico, impermeabile e senza un minimo cambio di ‘sguardo’ è l’agente K, come temperatura fissa e quasi tendente al grado minimo kelvin.
Didascalico nelle riprese con motivi e movimenti insieme a un ‘drone’ (sor)veglia(rdo) di una terra addormentata.
Elegante e discreto con un sottofondo rimarchevole di ‘terreo’, ‘smorto’, ‘pen(o)s(os)amente polveroso e artificioso: l’orizzonte è lontano ma ‘sembra vicino’.
Ryan Gosling è solo, l’agente che cerca il suo presente in un futuro idiomatico e pieno di cromatismo lineare e plumbeo.
Unico e irripetibile il ‘Blade Runner’ (1982) con l’uscita sul grande schermo dove il finale (poi regredito e tolto) mascherava la vita da una parte all’altra e il ‘replicante’ filmico si concedeva un racconto e un score musicale da ‘vero applauso’.
Nulla da dire, come nulla do obiettare ma l’imprimatur su questo film una volta finito non è ‘forte’: si può rivedere ma senza quella sensazione plaudente di grande voglia.
Nulla può Hans Zimmer (anche se non ha nulla da invidiare ad altri) a riempire lo schermo con uno score suggestivamente di livello eccelso.
E Deckart riesce dal buio (con voce fuori campo) a farci sentire i brividi e a ‘mangiare’ il film con poche battute e la sensazione che il biglietto è ben pagato. Harrison Ford (con rughe e viso impasticciato) riesce con i suoi pochi movimenti a darci la sensazione di un film troppo lungo e di un arrivo in linea d’arrivo fino a dirci che la sceneggiatura ‘meravigliosa’ (come si legge è stata definita dal duo attoriale) non ha da rimpiangere nulla ma soltanto da tagliare l’imponderabile pensiero di una storia troppo di ‘studio’ e ‘compiacente’.
Replicante o solo nuova visuale, bella fotocopia o solo futuro, cartina da tornasole o celluloide rimasterizzata….o forse ancora un digitale che vuole sorvolare oltre i colori dell’inquadratura.
2 come secondo capitolo, non penseranno di farne un terzo … nel 2079…forse è meglio finirla qui.
0 come gruppo di un ologramma invisibile (e rifare il verso al Kubrick girovago nello Spazio senza fine in un Terra o di quello che resta pare inopportuno per un fattore K
4 meno uno per una partitura che tampona il timpano ma non ricordi con entusiasmo;
9 meno due (e anche meno) per un voto di routine (non sarà così per tutti immagino …) per un film pieno di belle fotografie ma vuoto di pathos ‘meccanicamente’ costruito.
Ridley Scott, qui si registra solon come produttore, dietro le quinte (eppur il suo nome è stato letto più volte per un seguito del suo film). Denis Villeneuve ha avuto coraggio nell’accettare un film difficile già nel titolo: certo non disdegna voli, fantasie filosofie pindariche ma l’empatia delle componenti non si raggiunge in modo sincrono. Tutto attaccato con un filo leggero e tutto staccato con sequenze a se stanti per una durata ‘allungata’. E poi ogni dovizia di particolari viene spiegata e articolata in discorsi laboriosi e da predica.
Il regista canadese ha classe e stile personale e il suo meglio è nel duo ‘La donna che canta’ (2010) e ‘Prisoners’ (2013). Poi uno studio utile sul suo modo di girare che non porta a lavori ‘liberi’ e ‘di livello’ (si veda ‘Sicario’ del 2015 e anche quest’ultima pellicola).
Materia infame e grezza, morente e senza vita, Villeneuve ci offre un film di tempi oramai persi in un futuro dove il trucido è bello e ogni cosa, parrebbe essere a suo posto. La fotografia resta interessante sotto il profilo dello sguardo: in certi frangenti si ha la sensazione di vedere una pellicola di William Friedkin (‘Vivere e morire a Los Angeles’, 1985) dove le sfumature e il buio rabbrividiscono in un presente già futuro.
Siamo ripuliti dal Day-after. Non c’ è più nulla da sottosopra solo infausta polveriera o meglio pulizia artificiale con gli sponsor in bella evidenza (come un ‘simbolo’ il motore denaro Sony alza la sua voce oltre qualcosa che non si vuole). Siamo anche dentro quadri metafisici dove un De Chirico oppure un Picasso possono anche sfigurare (si fa per dire…).
Ciò che stimiamo è ciò che evidentemente ci fa piacere. Allo sguardo, e non solo, del film in questione (appena usciti dalla sala) si rimane allargati nelle immagini con futuri ben delineati e colora-menti appesi in un pennello buttato oltre la cinepresa.
Per il cast si ha la sensazione (netta) che i ruoli di contorno battono quelli principali: colpa di una sceneggiatura asimmetrica, di un Ryan Gosling non primissimo o di un Harrison Ford che avrebbe potuto entrare prima…? Difficile rispondere, anche se qualche idea viene fuori. Jared Leto (Wallace) ha il piglio giusto per fare un film tutto per se (non certo un rebot…ma altro).
Voto: 7-/10.