Trentacinque anni dopo il cult che ha rivoluzionato il cinema di fantascienza, Ridley Scott ci riporta nuovamente (questa volta in veste di produttore) nella stessa Los Angeles distopica, sovraffollata e perennemente frustrata da un’incessante pioggia, invecchiata di trent’anni dagli eventi del 2019. Il sequel riprende molte tematiche del film precedente, a partire dal blade runner protagonista a caccia di vecchi replicanti (qui interpretato da Ryan Gosling), ma approfondisce alcuni aspetti e ne reinventa altri, ampliando così la filosofia del romanzo di Philip K. Dick e regalandoci un personaggio, K, che si svela al pubblico progressivamente lungo i 163 minuti della pellicola, in maniera graduale appunto, stadio dopo stadio fino alla fine. Non a caso Mereghetti ci parla di “meta-sequel”, di un film che tocca diverse problematiche di ambito etico-filosofico, andando ancora più a fondo nell’indagine psicologica e morale sui replicanti e il loro utilizzo, fino a porre in crisi lo stesso divario uomo-robot, a partire dal tema sentimentale, uno dei più trattati all’interno del plot narrativo. Denis Villenueve (reduce dal bellissimo sci-fi Arrival, pellicola quasi più introspettiva e fondata sul tema del linguaggio che sul semplice mondo alieno) si prende infatti il suo tempo, alternando ampi silenzi a dialoghi brevi, primi piani ad inquadrature ampissime, sfruttando l’aspetto più maestoso di questo film ossia la fantastica fotografia di Roger Deakins , che sceglie ambientazioni monocromatiche spaziando da un arancione o un giallo intenso al grigio sporco di Los Angeles, bilanciando anche il ridotto (non apparentemente) uso del CGI con scenografie reali. La fotografia, che ricorda a volte quella adottata dallo stesso Deakins per le riprese tra i grattacieli di Shanghai e la brughiera scozzese ( l’incendio della casa di Bond) di Skyfall, é dunque l’elemento che rende Blade Runner 2049 un’esperienza visiva unica, una di quelle che solo il grande schermo può dare. Il tutto accompagnato da un sound semplice, ripetitivo ma allo stesso tempo estremamente angosciante ( il continuo fischio di una lunga sirena) e disturbante, che lega alla perfezione le riprese aree su panorami desolati, tristi e post-apocalittici. Il messaggio ambientalista di Scott viene ulteriormente rinforzato, ma fortunatamente la pioggia concede qualche tregua e viene intervallata da una neve più candida, segno forse, di speranza.
Un sequel dunque fedele alle proprie origini, ma non una semplice emulazione, quanto un’immersione maggiore nel mondo creato da Dick, capace di soddisfare gli inamovibili amanti del cult, quando un pubblico nuovo e una nuova forma di cinema, con prospettive differenti, consapevole di aver superato da tempo la soglia del XXI secolo, e di dover di conseguenza proiettarsi verso un futuro sempre più imprevedibile e oscuro il cui avvento non pare poi così lontano.