Fashion victim e benestanti, incoscienti e alienati, ecco i giovanissimi raccontati da Bling Ring, film diretto da Sofia Coppola e opening della sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 20013. Fedele al suo stile videoclipparo e all’amore sfrenato per la moda e l’abbigliamento che la contraddistinguono sin dal suo esordio, la Coppola mette in scena un fatto di cronaca: l’ascesa e caduta della young gang losangelina The Bling Ring, che nel 2003 si intrufolò ripetutamente nelle ville californiane delle star più in vista di Hollywood, rubando il rubabile, prendendosi tutto il tempo per scegliere abiti, gioielli e scarpe (uno shopping clandestino e sfrenato di borse Birkin, scarpe con la suola rossa Loubotin, abiti Prada, Dior, Alexander McQueen, Lanvin e di qualsiasi altro brand vada per la maggiore) nelle preziose cabine armadio delle celebrities: Paris Hilton, Lindsay Lohan, Orlando Bloom e Megan Fox, Audrina Patridge… non c’è divetto a cui la giovane banda abbia trascurato di far visita. Il metodo di infiltrazione? Geniale e semplicissimo: tallonare i siti di gossip e i profili dei social network delle star per conoscerne ogni spostamento.
I protagonisti dei film della Coppola alla fine sono sempre gli stessi (se si esclude Lost in Translation): adolescenti disagiati e annoiati, con profonde falle psicologiche che affrontano il male di vivere in modo tragico (Il giardino delle vergini suicide) o alienato. Ma non siamo nei paraggi di Harmony Korine, la Coppola non esibisce mai relazioni sessualmente spinte o spregiudicate, anzi il suo cinema è quasi asessuato. Qua vanno in scena l’ossessione per la moda e spregiudicati role model. Rubare nelle loro case, entrare nei loro privé con tanto di palo per la lap dance (a casa Hilton), appropriarsi dei loro oggetti, significa seguirne le tracce, in un rapporto di imitazione-emulazione che tiene imprigionati questi ragazzi in una dimensione di sogno-veglia amplificato dalle droghe assunte.
Essere Lindsay Lohan, ecco il sogno dei ladruncoli, esaudito in pieno quando ATTENZIONE SPOILER verranno persino arrestati e condannati (tanto da trasformare l’ingresso al tribunale in una sfilata), potendo emulare in pieno le gesta della loro icona. Scene ricche di ironia, una qualità che la Coppola non aveva mai esibito così dichiaratamente, e che è affidata soprattutto alla Watson, aspirante attrice o socialite (quel che conta è la fama!) molto sexy e ammiccante, che affronta in modo teatrale interviste, audizioni o processi, senza mai un briciolo di crisi di coscienza, pronta solo ad arrivare.
La fotografia dei nuovi modelli e dei contesti famigliari inadeguati (la madre new age della Watson ne è il simbolo più fastidioso ed evidente) è chiarissima. Emerge persino, inaspettatamente, una chiara condanna morale e un monito (un coraggio insolito per la Coppola): qualcuno infatti pagherà con il carcere.
La Coppola è una brava fotografa e documentarista dal gusto raffinato. Ma nella sua autopsia del mondo giovanile non è capace di usare davvero il bisturi e rimane un po’ sospesa e incerta, incapace di affondare la lama dove serve, specie a causa di una regia ripetitiva e che perde spesso il ritmo.
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Mi piace: la regia sofisticata tipicamente coppoliana e la fotografia dell’adolescenza alienata.
Non mi piace: la ripetitività delle scene di furto.
Consigliato a chi: ai fan della Coppola e agli allergici ai teen movies danzerecci e politically correct.
VOTO: 3/5
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