Perché, perché un film del genere, mi chiedo, viene precluso al grande pubblico, trascurato, per così tanto tempo? Possibile che la distribuzione italiana abbia ignorato per tre (lunghi) anni una pellicola così apprezzabile a tal punto da poter essere considerata, nel modo più assoluto, una visione essenziale? Potreste rispondere agli interrogativi con una scusa del tipo: “Beh, l’ombra della crisi è calata ormai da tempo sulle sale cinematografiche del Bel Paese!”; al che vi replicherei, polemico: “Forse siamo in questa condizione perché opere come quella in questione vengono lasciate nel dimenticatoio…”
“Blue Valentine” è una storia d’amore, ma allo stesso tempo non lo è. Si tratta della miglior trasposizione cinematografica di un giovane e intatto sentimento figlio del più puro romanticismo, bilanciato contemporaneamente da emozioni disperate che di romantico non hanno più nulla. La tecnica del flashback è sicuramente appropriata per risaltare queste contraddizioni.
Dean e Cindy s’incontrano quasi per caso, s’innamorano, si sposano e si amano alla follia. Tutto è perfetto, roseo; il senso di dolcezza che pervade lo schermo è reso magistralmente dai toni caldi della pellicola che non può non coinvolgere lo spettatore nella passione dei due giovani protagonisti. Qualcosa cambia, però, e anni dopo la situazione è completamente degenerata, logorata dalla routine quotidiana; tutto diventa più cupo, la disperazione è la vera protagonista. Restano i due ormai non più giovani, ma sparisce l’amore. La tenerezza lascia il posto all’insofferenza, l’affetto alla rabbia. Neppure un’ultima notte insieme, trascorsa tra alcool e letti rotanti nella “stanza del futuro”, servirà a distendere il clima; la situazione è irrecuperabile. Ogni tentativo di Dean di riparare nuovamente il rapporto, dimostrandosi anche di essere capace a comportarsi da padre di famiglia modello, fallisce inevitabilmente davanti all’inflessibilità e freddezza della moglie. L’apice della sconfitta coincide con il lancio rabbioso della fede nuziale, simbolo inappropriato per un matrimonio oramai finito.
Questi due aspetti, queste due facce opposte della stessa medaglia che rappresenta l’amore, non sono mai separati, anzi, si susseguono ininterrottamente sfociando in modo naturale l’uno nell’altro con un’armonia e un equilibrio disarmante. Un balletto romantico sulle note di un vecchio ukulele viene così ad affiancarsi alle decisioni inamovibile di una donna che determinano il pianto, colmo di sconforto, di un marito, e padre, disperato.
Cianfrance, con mano documentaristica, mette in scena un dramma sentimentale come meglio non si poteva fare; la regia è perfetta, memorabile. La lunga gestazione dell’opera ha portato ad una sceneggiatura senza difetti, non c’è mai nulla di troppo né si sente la mancanza di qualcosa che non c’è. In tutto questo trova un valido alleato nella colonna sonora, che esalta il più autentico dei sentimenti ma che allo stesso è capace anche di gonfiare la disperazione dei protagonisti.
La prova di Gosling, prima ragazzo semplice d’una bellezza inequivocabile, poi adulto stempiato, sporco e alcolizzato, è magistrale, la migliore della sua carriera (la lingua originale è d’obbligo per goderne a pieno). Trova una partner adattissima nella Williams il che, di fatto, li rende una coppia d’attori perfetta per interpretare i due protagonisti, Dean e Cindy.
Magnifico.
VOTO: 5/5
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