L’idea alla base di Brightburn – L’angelo del male è decisamente stuzzicante. Si tratta di fatto di una rivisitazione in chiave thriller-horror di Superman: vi siete mai chiesti cosa sarebbe potuto accadere al nostro pianeta se, invece di un paladino della giustizia pronto a proteggere il genere umano come Kal-El, all’interno della stella piovuta da Kripton ci fosse stato un extraterrestre con gli stessi identici poteri, ma deciso a distruggerci?
Questo è lo spunto intorno a cui ruota il film diretto da David Yarovesky e prodotto da uno dei guru dei cinecomic, ovvero il James Gunn che ha firmato i primi due capitoli dei Guardiani della Galassia e che presto rivedremo dietro alla macchina da presa (recentemente riassunto da Disney) per lavorare al terzo stand alone dedicato ai supereroi spaziali della Marvel.
Brightburn parte con il piede giusto: una giovane coppia (Elizabeth Banks e David Denman) che non riesce ad avere figli, una notte – in seguito a una fragorosa esplosione nel bosco accanto alla propria fattoria – trova un infante all’interno di un guscio spaziale e decide di crescerlo come se fosse il proprio bambino, battezzandolo Brandon. I resti della navicella vengono nascosti nel fienile. Anni dopo però le cose cambiano: il guscio si risveglia e inizia a “chiamare” il suo occupante. Brandon (Il Jackson A. Dunn intravisto in Endgame nei panni di un giovane Scott Lang), che nel frattempo ha raggiunto la pubertà, scopre di avere poteri straordinari e la sua esistenza viene inevitabilmente stravolta.
È a questo punto che Brightburn inizia a scricchiolare. Perché lo spunto decisamente intrigante di un supereroe che decide di diventare il più terrificante dei villain non viene sviluppato esplodendone le potenzialità. Brandon cambia completamente personalità nell’arco di una manciata di sequenze, trasformandosi da ragazzino intelligente, timido e mite in una furia omicida in preda ai propri istinti di vendetta e deciso a sottomettere il genere umano. Ma la lacuna più grande sta nell’assoluta mancanza di twist. La sceneggiatura scorre lineare, innocua, accompagnandoci – al netto di un paio di jump scare ben architettati e di un paio di frame ai confini dello splatter – verso un finale facilmente prevedibile.
Decisamente positiva invece l’interpretazione dei due genitori adottivi, la Banks e Denman (volto noto della serie Tv Outcast). Entrambi sono molto bravi nel reggere sulle proprie spalle gran parte della tensione del film e soprattutto nel trasferire allo spettatore le ansie e i timori di proteggere un figlio – fortemente voluto e amato in maniera incondizionata – a tutti i costi, nonostante la sua misteriosa provenienza.
La conclusione di Brightburn – L’angelo del male lascia le porte aperte, anzi spalancate, a un sequel: la speranza quindi (box office permettendo) è che questo possa essere solo il primo tassello di una storia più articolata e capace di sorprenderci con un numero 2.
Foto: © Warner Bros.
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