Broken City: la recensione di Gabriele Ferrari
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Broken City: la recensione di Gabriele Ferrari

Broken City: la recensione di Gabriele Ferrari

Lo ammettiamo: per un attimo abbiamo sperato che l’incursione di Mark Wahlberg in territorio comedy potesse segnare un nuovo inizio per la carriera dell’attore americano, che – più per incapacità nella scelta delle parti che per demeriti attoriali – ha speso anni preziosi della sua vita a inseguire il ruolo di “idolo action”, con risultati opinabili. Nulla da fare: l’ex rapper ama troppo i personaggi muscolari e/o i film di tensione per abbandonare il suo sogno. Contraband, Suda e cresci, 2 Guns: tutto concentrato tra la seconda metà del 2012 e la prima del 2013; un filotto a cui aggiungere, almeno nelle intenzioni, questo Broken City, per la verità più thriller classico che film action e, soprattutto, più delusione che conferma di qualcosa.

La colpa non è – tutta – di Wahlberg, qui Billy Taggart, ex poliziotto trasformatosi in detective privato in seguito a qualche problema di aggressività di troppo. Né può essere di Russell Crowe, ovvero il sindaco corrotto di New York Nicholas Hostetler: insolitamente ciarliero e brillante, Crowe infila una performance interessante, pur se un po’ piatta nella sua amoralità estrema. E “piatto” è il problema principale di Broken City: diretto da Allen Hughes, metà della coppia familiare dietro a prodotti mediocri come Codice Genesi, è uno di quei film che si dimenticano cinque minuti dopo i titoli di coda, nonostante gli afflati di buon cinema e di Grande Messaggio che filtrano qui e là. Il gioco è tutto trane Wahlberg e Crowe: il secondo ingaggia il primo perché spii la signora Hostetler, Cathleen (una Catherine Zeta-Jones in versione decorativa), sospettata di infedeltà. La scoperta dell’identità dell’amante è, come da tradizione, ciò che dà la stura agli eventi, che portano Taggart e la fidanzata Natalie (Natalie Martinez) nella solita spirale di corruzione che conduce dritto dritto al cuore più marcio della città, in quelle stanze del potere dove…

Il resto completatelo da soli: è il classico materiale da thriller della domenica pomeriggio, in cui un gran cast di facce da cinema (Barry Pepper, Jeffrey Wright, Kyle Chandler) ingaggia una gara di (a)moralità tanto prevedibile quanto confusionaria. Non è mai del tutto chiaro il perché delle scelte più estreme e discutibili di alcuni personaggi – a voi, per evitare spoiler, il piacere di scoprirle –, e in un mondo in cui tutti sono almeno in parte cattivi e tutti hanno qualcosa da nascondere ci si stufa presto di tifare per qualcuno. L’impressione, se ci passate il paragone azzardato, è che lo script dell’esordiente Brian Tucker provi a compiere, per l’amministrazione pubblica della Grande Mela, quello che Se7en riusciva perfettamente a fare per la squallida suburbia americana: usare gli strumenti del cinema di genere (thriller/horror là, legal thriller qui) per far passare un messaggio importante e ritrarre un mondo che chiede di essere raccontato senza peli sulla lingua. Nel film di Fincher, però, a sostenere il doppio piano di lettura c’era una sceneggiatura stellare e un regista in stato di grazia, mentre in Broken City regnano confusione e sciatteria in entrambi i comparti.

In fin dei conti, quindi, quel poco che rimane impresso di Broken City è l’istrionismo di Crowe, la totale dedizione alla causa di Wahlberg, le splendide donne di cui si circondano i protagonisti e una premessa che, in mani più competenti, avrebbe potuto dar vita a una grande storia. Avanti un altro.

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Mi piace
Poca roba: su tutto, l’alchimia Wahlberg/Crowe, che avrebbe meritato miglior fortuna.

Non mi piace
La regia sciatta e banale e la sceneggiatura confusa.

Consigliato a chi
Deve ammazzare un pomeriggio e ha già esaurito le altre opzioni.

Voto: 2/5

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