Brooklyn: la recensione di loland10
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Brooklyn: la recensione di loland10

Brooklyn: la recensione di loland10

“Brooklyn” (id., 2015) è il quinto lungometraggio del regista irlandese John Crowley.

Il melò ben fatto e costruito rimane sempre negli occhi e anche dentro: con uno stuolo d’attori in parte (dal primo all’ultimo) il film regge e sa di colori variopinti con tè e pasticcino in un medio pomeriggio. La storia non eccede nella pomposità e nel ‘glaumor’ istericamente fastidioso: con una ricostruzione di ambienti precisa e impeccabile tutto si lascia vedere senza appesantire lo spettatore.
Siamo nel 1952 e Ellis Lacey decide di emigrare negli Stati Uniti d’America dal suo piccolo paese in Irlanda dove non riesce a trovare lavoro lasciando la madre e la sorella. Un espatrio di paura, di speranza e di cuore timoroso. Una ragazza che cerca una piccola copertina dentro il suo vivere (modesto e) quotidiano. Uno gruppo femminile, un convitto, una tavola, una donna che esprime, ragazze che vogliono vivere, il silenzio di un mondo da conoscere.

Brooklyn diventa un luogo di ritrovo di un gruppo di irlandesi dove Ellis (ad una festa da ballo) conosce Tony, un ragazzo di origine italiana, che preferisce non andare nelle riunioni dei propri compatrioti. ‘Perché?” gli chiede lei…, “… perché gli italiani allungano le mani…”. Da un in contro fortuito nasce un amicizia e scocca l’amore tra la ragazza che lavora in un grande magazzini e il fidanzato che fa l’idraulico.
Restare in Irlanda quando alla morte della sorella torna in patria per il funerale e sua madre cerca di convincerla che il ragazzo con cui è uscita “… è un buon partito …”. Ma la ragazza è martoriata dentro e vuole non assecondare la voglia di altri ma la sua autonomia e il composto mondo fatto di cose semplici di cui vuole riappropriarsi nel tornare a Brooklyn (come non dire il tutto di tutti nella ‘piccola provincia’ irlandese dove ognuno sa sempre cosa mangiano di fronte a casa).
Omaggio ad un cinema delicato e rispettoso, lineare e amorevole verso un pubblico da compagnia nel gergo migliore del termine; senza falso inganno una pellicola da considerare con gusto e diletto addolcito. Ecco uno svolazzo che ancora l’animo in un percorso di fantasia impressa.
O come sinfonia leggerissima di un romanzo d’appendice o (per altro dire) di un soggetto da aprire per un amore da sfogliare con estrema levità e spontaneità.
Kermes minima e ristretta, silente e azzerante quando un grande schermo apre una commozione di partecipazione e niente affatto lacrimevole.
Lezioni d’amore iniziali quando il ballo è tra una veglia sognante e una lacrima di perdita fraterna. Saoirse Ronan (attrice irlandese prossima ai ventidue anni) è efficacemente in ruolo di Ellis con una sottrazione di modi esteriori che fanno il complemento alla forza viva della sua recitazione d’animo.
Yes America, verrebbe da dire per un anno di uscite da ricordare: e si fanno i titoli di ‘Un uomo tranquillo’ (di John Ford) e il musical ‘Cantando sotto la pioggia’ con i cartelloni che primeggiano all’uscita dalla proiezione dei due ragazzi. Un’America di un sogno svanito e con colori accattivanti per un luogo dove costruire future case ed una per i futuri sposi. Un verde che aleggia nel cuor loro e nel fascino avvolgente di una fotografia di grande efficacia. Le vie irlandesi e la sua campagna, le vie di Brooklyn con i luoghi da divertimento hanno simbiosi di pennelli affascinanti con le onde che silenziano spiagge lontane fra loro mentre Ellis sfoggia un costume ‘verde’ che ricorda ogni luogo visto e da vedere.
Niente e nulla, un abbraccio può soddisfare ogni cosa mentre una madre non osa contrapporre ad una figlia che desidera altro colore non quello che ricorda della vecchia Irlanda.

La regia di John Crowley è linearmente compatta e tiene mano ferma sui luoghi, i colori e i visi da rendere a chi entra nella sua ripresa.
Voto: 7+/10.

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