Edoardo Leo, Massimiliano Bruno, Raoul Bova: segnatevi questi nomi, perché probabilmente stiamo assistendo alla nascita di un Italian pack che da qualche tempo alimenta la scena cinematografica (e teatrale) italiana con i propri progetti, nei quali si intercambiano tra sceneggiatura, regia e recitazione. E di cui Buongiorno papà è il caso più emblematico, l’ultimo in ordine di tempo (dopo Nessuno mi può giudicare e Viva l’Italia).
Partendo da un soggetto di Bruno, Leo sviluppa una commedia che si poggia sul percorso di maturazione del protagonista (Bova) senza togliere spazio ai comprimari, artefici di siparietti divertenti (la coppia Leo – Marco Giallini) o portavoce della lezione del film (la giovane Rosabell Laurenti Sellers, al suo esordio, e Nicole Grimaudo).
La storia di Andrea, 40enne di successo – nel lavoro e sotto le lenzuola – la cui vita viene sconvolta dall’arrivo improvviso di un’adolescente che dice di essere sua figlia (Laurenti Sellers), concede infatti parecchie risate ma anche momenti di commozione, laddove la lenta e complicata scoperta della paternità costringe l’uomo a mettere in discussione la sua intera esistenza. E la propria dimensione emotiva. Questa ragazzina dai capelli rossi, che guarda Kubrick in bianco e nero e filtra il mondo attorno a lei attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica costringe il padre a compiere quello scatto di crescita che fino ad allora aveva rimandato. Il buongiorno del titolo allude, infatti, al risveglio di un uomo che per la prima volta impara ad amare e ad assumersi delle responsabilità, nella vita privata come in quella professionale: la parte più convincente del film.
Fossimo negli Stati Uniti sarebbe una dramedy; ma è un genere che noi italiani ancora non sappiamo gestire, ingabbiati come siamo nella commedia che tanto ha fatto la nostra fortuna. Ed è un peccato vedere come la freschezza e l’intelligenza di certi dialoghi venga “sporcata” da sequenze comiche apparentemente funzionali a riequilibrare i toni. Se a volte il gioco funziona, sfruttando anche in modo originale certi cliché, altre situazioni risultano esasperate e posticce. E nella maggior parte dei casi queste coinvolgono il pur bravo Giallini, alle prese con un nonno rockettaro, nostalgico dei Seventies, che non riesce a trovare il suo posto negli Anni Duemila e nemmeno nella pellicola.
Anche l’idea di far lavorare il protagonista nel mondo del cinema (Andrea è un creativo che si occupa di product placement) si risolve in battute telefonatissime, lasciandosi sfuggire l’occasione di sfruttare la commedia per ironizzare sull’industria di cui è figlia.
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La sensibilità con cui viene sviluppato il tema centrale del film: la scoperta improvvisa da parte di Andrea e Layla di essere padre e figlia
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L’esasperazione di alcune sequenze comiche
Consigliato a chi
A chi è disposto a chiudere un occhio su certe sbavature per godersi una commedia piacevole, che non manca di profondità
Voto: 3/5
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