Burning, la recensione
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Burning, la recensione

Burning, la recensione

Burning
PANORAMICA
Regia (5)
Interpretazioni (4)
Sceneggiatura (4)
Fotografia (4)
Montaggio (4)

La solitudine, il paralizzante senso d’inadeguatezza di fronte al desiderio, l'(in)affidabilità della memoria. Sono alcuni dei più evidenti temi ricorrenti dei romanzi di Haruki Murakami, e che Lee Chang-dong imprime nella sua opera a partire da un breve racconto dello scrittore, concependo un anomalo thriller che non esige risoluzione.

Al centro della storia è Jong-su (Yoo Ah-in), un fattorino che sogna di fare il romanziere per quanto non sembri proprio provarci. Durante una consegna, incontra un’amica d’infanzia che non vedeva da anni, Hae-mi (l’esordiente Jun Jong-seo): finiscono a letto insieme, e lui, ovviamente, se ne innamora. La ragazza, però, parte immediatamente per un viaggio in Africa, e quando Jong-su la viene a prendere in aeroporto al suo ritorno, lei è in compagnia di un nuovo “amico”, Ben (Steven Yeun, il Glenn di The Walking Dead), tanto facoltoso quanto enigmatico. Lo sguardo di Jong-su si fa ancora più spaesato, preso da dubbi e gelosia, mentre tenta di capire la natura del rapporto tra la ragazza che ama e questo “Grande Gatsby”, una di quelle persone “misteriose e ricche che non si sa mica bene che cosa facciano”. Il triangolo (amoroso?) prosegue tra cene a base di cibo italiano e confidenze via via sempre più intime, fino a rompersi di colpo con un’improvvisa sparizione.

Sulla carta, siamo di fronte a un dramma che si tramuta in un mistero e che poi finisce in tragedia, ma nonostante la linearità della narrazione, il cineasta sceglie di non fornire mai una spiegazione chiara lasciando tutto nell’ambiguità, a sottolineare quanto il concetto di realtà non sia tanto una questione di fatti, quanto di sentimenti. Nella stessa maniera in cui Murakami si connette coi suoi lettori in maniera istintiva, Lee Chang-dong trasforma la semplicità della prosa in poesia, rendendo ogni parola e ogni svolta della storia una potenziale metafora, un significato che pare sempre essere altro: a prevalere, durante la visione, è una perenne sensazione di sfuggevolezza, di quelle tanto seducenti quanto evocative, mentre la bellezza delle immagini scuote le emozioni regalando più colpi al cuore e agli occhi, e basti per tutte la scena – ammaliante come un’ipnosi – in cui Hae-mi balla semi nuda di fronte al tramonto, alzando le braccia in cerca del significato dell’esistenza (come quelle tribù africane di cui ci parla all’inizio del film), o, al contrario, come segno di resa di fronte all’inquietudine del vivere. 

Burning è un’opera fatta di molteplici sfumature e livelli di lettura, un complicato elaborato di storytelling, la simbiosi ideale tra le poetiche di due maestri della contemporaneità (Murakami e Lee) che alle risposte prediligono le suggestioni, imprendibili eppur cariche di palpabile dolore.

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