Capodanno a New York: la recensione di Eddie Morra
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Capodanno a New York: la recensione di Eddie Morra

Capodanno a New York: la recensione di Eddie Morra

No, non scherzerò affatto su questa strabiliante favola sentimentale di Garry Marshall, e, sebben, arcigni, m’ammuniterete con dosi ciniche, fetide di “realtà” affinché, castrato, io non mi glassi di “pestilenziali zuccherosità”, ma soffra in film “pentecostali”, sarò qui, “impenitente”, a soffiar come tramonti ambrati d’ariosa sensibilità, “malia” del mio charming come un Principe Azzurro in una magica Notte di battiti lievitati nell’amore, nella sua perseveranza e nella sua “illusoria”, febbril attesa spasmodica

Poesie nel vento di quella fatalità fatata di nome serendipity

Sognante vividezza della floridità

Svelato, d’ogni timidezza a cui fui avvinto, o affumicato dentro asfittiche pareti dalle lagrime quasi bavose, a rapirmi dentro incenerite palpebre che miagolavan pallide al crespo baluginar d’ogni Giorno.

Acrimonie, fratricidi scambi di “cortesia”, bacetti tanto gentili da bruciar di secchezza, d’un claustrofobico, tetro pragmatismo retorico avvezzo alle burle, per schernirci quando si è ilari, o solo nauseabondo, pastoso burro, e ferali se poi infierirai di troppe “amorosità indagatorie”.

E’, all’indaco, alla tenerezza romantica a cui ci tingiamo per non eclissare, fantasmi, tra le grida di chi, luciferinamente, le ovatterà solo per inteporirle d’una dolciastra patina d’ipocrisia brutale.

E, come De Niro, lo “stronzo” dal Cuore di marzapane, con la “papalina” dei miei ricordi, sogno d’ansimar per gli ansiti luccicosi d’una sferica palla a Times Square, cristallo delle nostre illusioni-meteora.

Ombra funerea, già appannata, che vien come “folgorata” in viso quando essa s'”infuoca”, e acceca una dolce morte illanguorita nella frenesia di carnevaleschi festeggiamenti dal rosato, incantato profumo.

Veneri bionde, accoccolate a fidanzatini stizzosi, e intellettuali che si disarman in gioie che dimentican il “patetismo” nel leggiadro corteo che colora ogni dubbio d’un inestinguibile attimo da incorniciar nella viva trasparenza d’iridi-brillantina.

La vita, su, dai, è rotear stellari nel mar delle effimere speranze, e nuovi baluardi a cui ancorar, fra dolori e gaudi, la giostra che gira.

E’ “enigmarci” nel dubbio, o esser, ingannatoriamente, divorati da incandescenze che lacerano ogni nostra, sin troppo pacata, flemma. O, come, per qualche timore in più, ci “placammo”.

Son i fluorescenti bagliori di torpori che si dissolvon mansueti, l’amicizia, anche nelle sue grigie nervature, la fulva sua femminilità purissima anche se è puttana.

I luccichii glamour di vite che schioccano, spumeggianti di virtù o in un altro rapimento alla propria anima.

E’ il Tempo, imprigionato in una Mezzanotte dei desideri, che zampilla di champagne “smaglianti”, è come Hollywood nel suo variopinto circo di saggi veterani, “dimenticabili” apparizioni, “maghi in smoking di fresco sex appeal” e nascenti astri per nuove, magnifiche, meravigliose astrattezze.

Sì, bistrattato da una noiosissima “mole Critica” per chi imbastirà la battuta più acida a demolirlo.

La più “genial” intuizione della parola “stampata” che mai si “stappa” nell’evasione, forse “futile” e “dissipatoria” ma di “profumosità” aromaticissima, “romanticheria” d’ingredienti “miscellaneati” con garbo maturo e spruzzi piccanti, come la peperina Sofia Vergara o il “sandwich” Josh Duhamel.

Il discorso, d’autentica commozione, di Hilary Swank, e il re dell’elettricità Hector Elizondo, il riparatore d’ogni guasto, Egli stesso interruttore per riaccender speranze affievolite, “lampadine spente”, macchinista o “Dio che viene dalla macchina?”.

Questo Marshall, non son l’unico a pensarla così né è una posa provocatoria, lo stesso Simone Emiliani, l’ha definito “straordinario, forse la sua opera migliore da Paura d’amare”, è “confezione” in apparenza inconsistente, invece d’una esperienza registica che sa “formular” ogni storia da “cremoso”, insuperabile veterano, sa allestirla anche dietro un sorriso o una ruga “smaltita” o unghie laccate, orchestra questa ensemble-comedy con la finezza di chi sa che, la frettolosa, superficiale, inappropriata definizione di “cinepanettone”, è un’usanza di chi abusa del “lessico” cinematografico per “telegiornalarlo” in una sbrigativa recensioncina.

Perché, negli sguardi cerbiatti fra Ashton Kutcher e Lea Michele, nei giochetti a distanza fra il grande Bon Jovi e la “tremolante platinatura” disillusa di Katherine Heigl, nel “pattinarla” fra il “Cupido” Zac Efron e la sempre più sbalordita Michelle Pfeiffer, c’è la chimica d’un grande regista che sa come suonar la melodiosa tastiera del Sogno, nelle levigatezze “gelatinose” di storie, in apparenza frivole e “banali”.

Il classico, classicissimo, sì, Marshall lo è, gran bel film.

(Stefano Falotico)

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