Cappuccetto Rosso Sangue: la recensione di Chester
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Cappuccetto Rosso Sangue: la recensione di Chester

Cappuccetto Rosso Sangue: la recensione di Chester

Innocenza e immortalità. Solitudine e sacrificio. Niente balli in maschera. Niente corse a prua di grandi navi, scambi di case né viaggi in macchina alla riscoperta di sé. Il romanticismo di nuova generazione è ancora impregnato di lune piene e artigli. Catherine Hardwicke, dopo aver diretto i nuovi eroi sentimentali di Twilight (2008), è ancora dietro la telecamera per raccontare un amore impossibile in Red riding hood (Cappuccetto rosso sangue, 2011). L’influenza della pellicola tratta dal romanzo di Stephenie Meyer però, è ancora molto forte in lei. In questo nuovo film, prodotto tra gli altri anche da Leonardo DiCaprio, c’è un amor sofferto. Quasi Shakespeariano formato Baz Luhrmann. C’è un lupo mannaro che minaccia un villaggio. C’è un promesso sposo che la giovane Valerie (la biondissima Amanda Seyfried) non ama. Il suo cuore appartiene a un altro. Ma proprio quando i due innamorati sono pronti per la più classica delle fughe, la sorella di lei muore per mano della creatura selvaggia. I precari equilibri del villaggio saltano. A cercare di fermare la belva arriva e riportare la situazione sotto controllo, ci pensa Padre Solomon, un ambiguo cacciatore di mostri che ha i lineamenti e la maestria di Gary Oldman. Nel bene o nel male, segreti e debolezze si rivelano. Audacia e amicizia si manifestano. Un po’ esagerato il perenne contrasto del rosso della tunica di Valerie e la neve bianca: forse un tributo al duello tra Uma Thurman e Lucy Liu nelle scene finali di Kill Bill vol. 1 (2003), quando il sangue inzuppa la neve? Dietro l’apparente banalità della storia, c’è qualcosa di più. Una metafora. Il pericolo. Il vero pericolo non ha le sembianze di un mostro e non vive lontano dal mondo. È in mezzo a noi. Mangia con noi. È rispettato, perfino sopravvalutato. E allo stesso modo, basta che qualcuno venga etichettato, magari messo alla gogna con una maschera di ferro al centro della piazza, che subito il “popolo-pecora” abbandona il facile capro espiatorio. Qualcosa va infranto. La gente cerca involontariamente la speranza fino a quando la saggezza non li rimanda a una macchia più comprensibile. Qualcuno dovrà esprimersi partendo da questo risultato. Ogni minuto che passa in molti sapranno sempre meno accettare i propri laceranti segreti senza rivelarli. Credo che ciascuno, almeno una volta nella vita, abbia desiderato fare un ritorno. Qualcuno l’aveva promesso. E l’ha mantenuto.

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