La ricetta dei cinecomic Marvel è sempre stata molto semplice: effetti speciali all’avanguardia, tanto humor, azione a mille e poco approfondimento psicologico dei personaggi. Una struttura che finora ha sempre raccolto i suoi frutti, per buona gioia di Kevin Feige e soci. Tra i milioni di fan in tutto il mondo, però, c’è una fetta di pubblico che davanti ai film della Casa delle idee ancora storce il naso, perché li considera solo dei grandi giocattoloni, perfettamente costruiti. Captain America: The Winter Soldier sembra fatto apposta per smentire questa teoria. Il film di Anthony e Joe Russo, secondo capitolo della saga dedicata al primo Vendicatore, presenta caratteristiche che lo collocano fuori dagli schemi tradizionali del Marvel Universe, creando un effetto sorpresa inaspettato quanto gradito.
La pellicola è infatti costruita come uno spy-movie, incentrato su una cospirazione di proporzioni gigantesche che potrebbe spazzare via lo S.H.I.E.L.D. e tutto ciò che rappresenta, con Steve Rogers e Vedova Nera a formare la coppia di agenti segreti protagonista. La regia sfrutta al massimo i codici del genere, basandosi sul principio del “non fidarsi di nessuno”: la storia si sviluppa su una catena di indizi come nel più classico dei gialli, con situazioni che si ribaltano di continuo giocando con le aspettative dello spettatore. L’ironia c’è sempre, ma è molto più misurata che in passato, con battute sparse ad arte qua e là giusto per spezzare la tensione.
A una simile rivoluzione non si è sottratto nemmeno Steve Rogers, ritratto con uno spessore psicologico mai visto sinora: il nostro Cap è un eroe, innalzato a simbolo di una nazione, che ancora fatica a trovare il suo posto nel mondo. L’ibernazione e il successivo risveglio nel presente alla fine del primo episodio hanno lasciato cicatrici che si rimarginano lentamente, e questa sua fragilità verrà messa a dura prova dall’incontro con il Soldato d’Inverno, avversario che lo eguaglia in forza e agilità, ma che lo mette drammaticamente di fronte al suo passato, risvegliando una minaccia che sembrava sepolta per sempre.
Il meglio di sé, però – e qui sì che si è fedeli al modello Marvel – il film lo regala nelle sequenze d’azione, con corpo a corpo spettacolari e dinamici, sparatorie, e inseguimenti che sembrano usciti dritti dritti da Fast & Furious.
D’altra parte, Kevin Feige l’aveva detto: «È arrivato il momento di rischiare». E alla Marvel, anche i rischi sono sempre calcolati.
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Mi piace
Il taglio diverso, quasi da thriller politico, del film. E le scene d’azione tolgono il fiato.
Non mi piace
Emily VanCamp, alias l’Agente 13: il suo è un personaggio troppo fuori dal coro.
Consigliato a chi
Crede che tutti i film Marvel siano fatti con lo stampino.
Voto: 4/5
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