Carol: la recensione di loland10
telegram

Carol: la recensione di loland10

Carol: la recensione di loland10

“Carol” (id., 2015) è il sesto lungometraggio del regista di Los Angeles Todd Haynes.
E’ lieto ogni momento di spegnimento delle luci e quando la sala diventa buia con il grande schermo a guardarci si applaude un sogno che cerca (disperatamente) di entrare nelle nostre fantasie di spettatori affascinati e inermi (una buona compagnia aiuta certamente).

Cliente di un grande magazzino è una donna di nome Carol, una donna dall’aspetto distinto, algido, sensuale e una postura distaccata. Vuole prendere un regalo per Natale e non sa cosa comprare per la sua dolce figlia: la commessa Therese suggerisce un trenino elettrico. Consegna a domicilio con pagamento anticipato. Una sorta di anticipo sui tempi dato che siamo nel 1952 a Manhattan. Therese e Carol uno sguardo che parte da lontano per avere una sintonia (graduale) dall’inizio. Si incontrano e si rincontrano come una buona colazione e un paio di uova in camicia con spinaci.
Il calligrafismo esasperato (e esasperante) cercano e trovano un’ambientazione a dir poco limpida, sinuosa, marcata e, quantomeno, appetitosa. Tutto costruito al ‘manierismo’ che forse vuoi apprezzare ma che alla lunga può creare qualche fastidio forviante. L’interiorizzazione dei sentimenti (veri) visti all’estero appaiono un po’ posticci (non nel senso di diminuire) o, meglio, laccato oltre il dovuto. E la scena ‘amorosa’ (che arriva) pare alquanto aggiuntiva e sagacemente pronta per le due attrici (che sono in formissima) e non certo diminuisco la loro forza recitativa.

Algoritmo esistenziale tratto dall’omonimo libro della scrittrice americana Patricia Highsmith (molti suoi scritti sono stati trasportati sul grande schermo, basti ricordare ‘L’altro uomo’ di Hitchcock , ‘Il talento di Mr. Ripley’ di Minghella e ‘L’amico americano’ di Wenders) che certamente non mandava dire a nessuno cosa scrivere. Certo è che il taglio cinematografico è veramente ‘onnivoro’ di molte cose che avvolgono i personaggi e gli stessi paiono tutt’uno con l’ardimentosa parafrasi di tavolozze colorate e di inquadrature avvolte di ogni movimento dei corpi.
Cate Blanchett (Carol) e Rooney Mara (Therese) riescono a tenere una scena in ogni piano e fuori piano con un gioco di gesti minimi che arrovellano i loro mondi ma non coinvolge pienamente lo spettatore cercando piccole sottigliezze che danno precise indicazioni ma tendono al ‘barocchismo’ a sé stante. I modi e i movimenti alquanto freddi tendono a dare un distacco che eliminano l’interazione fuori lo schermo con un amore ricercato solo nei corpi (forse un compiacimento voluto ma certamente un po’ fastidioso).

Riservatezza è la parola d’ordine perché negli anni cinquanta il problema ‘omosessuale’ negli Usa era fuori dalla logica corrente e la morale ne proibiva la visibilità osteggiando drasticamente uomini e donne. Ma nel 1952 Carol ha il volto e la parola per dirlo, separarsi dal marito, amare una figlia e manifestare chiaramente il suo mondo alla sua ‘amica’ Therese. Le illusioni finiscono in una cena serale tra amici mentre una ragazza si fa affascinare da uo sguardo lontano.

Ovest, oltre i confini di una vita (im) possibile, fuggire oltre un mondo che non conosce, sfatare tabù e ipocrisie, correre verso luci (di hotel) lontane lasciando a casa un’adorata bambina. E’ un mndo complesso che il regista Haynes ci fa vedere in tutte le sfaccettature consentendo ai personaggi di mostrare e mostrarsi liberamente. Un troppo accademico e linearmente ‘demotivante’ per una storia appesantita dallo sguardo dello stesso regista.

Laccata-mente saporoso e una fotografia ricercata (e sopraffina) rendono il film pieno di ardimenti decorativi e di velleità artistiche esasperate non consentendo di apprendere appieno il ‘profumo’ (si vuole ‘in modo dannunziano’ farlo uscire dal grande schermo) emanato dal racconto e le sue sfumature vitali.

Voto: 7.

© RIPRODUZIONE RISERVATA