“Cell” (id., 2016) è il quarto lungometraggio del regista di New York Tod Williams.
Fantascienza, horror, thriller in un unico film: poi leggi che Stephen King ha donato una sua storia ( e con l’aiuto in sceneggiatura) per un ennesimo film e ti convinci di entrare. E alla fine si esce convinti che più cose non hanno funzionato.
Dopo un inizio (di fretta e forse troppo di fretta) arrembante e triturante con zombie (o tele pazzi come vengono detti) scalmanati dentro un aeroporto il film perde, per accumulo, la sua linea fino ad una mezzora finale nonsense e soprattutto raffazzonata nei modi, linguaggi e salti di inquadrature. Il bambino e il papà che si tengono la mano camminando lungo una ferrovia per un ritorno agli amici lasciati sa di stantio e di prodotto oramai avariato.
Una telefonata di Clay alla propria (ex) moglie da un aeroporto affollato. Appena sceso dall’aereo pensa bene di contattarla, il figlio vuole parlare con il padre: il cellulare si scarica mentre i due si ‘vedono’ davanti ai cellulari. Clay non sa come fare per riprovare, vorrebbe ricaricarlo ma tutte le prese in aeroporto sembrano prese da un’orgia di carica di tutti i presenti. Mentre prova con una ‘vecchia cabina telefonica’ con le monetine a ricontattare mogli e figlio ecco che la ‘pazzia’ pervade e invade tutto il luogo dei terminal e non solo. Una schiera di persone impazzite, telepazzi del virus elettronico che arriva a tutti quelli collegati. Uno ‘zombie’ umano totale in piena regola. Clay scappa e riesce a uscire da quel mondo caotico e inferocito.
Poi l’incontro con l’amico (conducente della metro) Tom, le possibili idee per fuggire, il ritrovo presso il suo studio di fumettista, Alice del piano di sopra, fuori gli ‘stormi’, un bar in mezzo al caos, il furgone per la fuga, il voler ritrovar il figlio, una visita a casa sua, la moglie infestata e il messaggio del figlio, il fiume di telepazzi, la voce del figlio e un contatto ‘elettronico’ dopo che tutto sembra finito.
Cellulari senza risposta e in frigorifero: assolutamente non toccarli, non chiamare e non rispondere fino all’ultima stazione. Poi vai a capire qual è il momento giusto per aprire il nostro telefonino per contattare il tuo riferimento. Ad esempio un figlio.
Elettronico il guru moderno che scatena l’inferno dentro la testa e in ogni neurone del cervello.
Lascia tutto e corri per dove è da vedere. Una fuga che diventa continuo nascondiglio in una ferocia senza sosta. Il pathos è un contatto tra fili ma lungi da raggiungere le corde più intime.
Leccornia per gli amanti del genere ma poi il genere (mescolato e mescolante) fagocita un caotico mondo di (piccole) idee sovrastanti senza nesso e con poca forza visiva e, soprattutto, di struttura. Il nerbo dei ‘telepazzi’ si perde in una fuga dall’inferno di loro stessi e l’onda che ne scaturisce non da foga ad un vero scontro normali e non.
Un film che langue di corposità e le promesse dell’incipit naufragano in una seconda parte sconnessa temporalmente e poco incisiva. Il taglio della scrittura si vede ed è evidente: certo dopo novanta minuti attendi il clou o qualcosa del genere ma di terrore, paura e scene horror neanche l’ombra. Il demonio che corre sul filo e arriva al cellulare pare disperdersi tra il fuoco dei dormienti ‘telepazzi’ e i boschi (della Georgia) calpestati per buona parte. Ritornare agli anni settanta-ottanta sembra scontato per vedere di meglio e l’occhiolino è sempre lì (George A. Romero con suoi ‘morti viventi’ e gli ‘zombie’ come Walter Hill con le ambientazioni di certe ‘palude silenziose’).
Poi i due adolescenti sono anche usati poco o male: l’intenditore di cibernetica pare una sagoma di se stesso mentre il figlio di Clay dovrebbe avere una parte più consistente. L’intervento di Stephen King in sceneggiatura (dal suo libro omonimo) non ha portato buoni frutti e certo che anche la regia non contribuisce ad esaltare la diaspora umana e a condensare un maggiore pathos narrativo verso un finale quasi inconcludente. I due Cusack-L.Jackson reggono abbastanza l’urto da affrontare quasi timbrando loro stessi.
‘Cell’ appare alla lunga un film modesto e poco riuscito con una divisione netta tra un inizio promettente e un fondo generale incerto.
Voto: 5/10.