Cesare deve morire: la recensione di Hans_Castorp
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Cesare deve morire: la recensione di Hans_Castorp

Cesare deve morire: la recensione di Hans_Castorp

Nel carcere romano di Rebibbia, nell’ambito dei programmi di rieducazione e recupero, viene messo in scena il Giulio Cesare di William Shakespeare, recitato dai detenuti. I fratelli Paolo e Vittorio Taviani decidono di girare un film che possa testimoniare i momenti salienti dell’intero lavoro, dalla scelta degli interpreti principali fino al debutto davanti al pubblico. Ne viene fuori un’opera originale, alta, emozionante, che tanto comunica allo spettatore.
Una delle prime cose che colpisce è l’impegno dei detenuti prescelti, i quali, per nulla intimoriti dalla regalità del testo, lo affrontano spesso adattandovi lingua ed espressioni del loro parlato. La profonda autenticità del dettato scespiriano ottiene diversi effetti, come quello di sommuovere l’animo degli interpreti, il cui vissuto entra nella traccia del dramma e la traccia in loro; il coinvolgimento è forte, tanto da far affiorare personali ricordi, memorie dolorose, antichi rancori.
Il film suggerisce una riflessione sulla sorte di quegli uomini quando mostra, per due volte, la stessa sequenza del loro rientro in cella – ordinato, rassegnato – dopo le prove: una porta che si apre, una stanzetta disadorna che li accoglie. E questo dopo essere stati interpreti della poesia. Il film non manca di accennare al potere salvifico dell’arte: il detenuto che interpreta Cassio pronuncia la battuta più lapidaria del film: “Dopo che ho conosciuto l’arte questa cella mi sembra una prigione”. In ultimo ci verrà comunicato che l’esperienza ha concretamente sollevato dallo stato di inerzia e rassegnazione molti di quegli uomini.
Le scene culminanti del dramma danno vita ad altrettanti momenti forti del film: innanzitutto l’uccisione di Cesare e poi la celeberrima orazione funebre di Marc’Antonio, quest’ultima seguita dalla moltitudine dei detenuti da dietro le sbarre, forse metafora dell’impossibilità del popolo di partecipare alla democrazia e di incidere sui fatti della politica. Una bella intuizione registica.
Manca qualcosa in questo film? Poco, ma ci sarebbe piaciuto vedere (ci sarà pur stata…) la diffidenza o lo scetticismo di qualcuno di quegli uomini (prima di esserne conquistati) nei confronti dei temi scespiriani, oppure l’alzata di spalle di chi ne ha viste tante e non crede più in nulla. Ma forse questo non era indispensabile documentarlo.
Per concludere, un piccolo notevole film, che testimonia la sorprendente giovinezza creativa dei due autori e che ha ampiamente meritato il massimo riconoscimento all’ultimo festival del cinema di Berlino.

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