“Chiamami con il tuo nome” (2017) è il quinto lungometraggio del regista palermitano Luca Guadagnino.
Ecco che una produzione variopinta e internazionale con un cast di molte lingue tra attori, musica, montaggio e sceneggiatura da il segno che un film ‘italiano’ può ambire a essere visto in ogni posto e essere riconosciuto per quello che ‘esprime’. Luca Guadagnino riesce a essere riconosciuto e a ‘farsi largo’ in un cinema nostrano poco avvezzo a film di largo respiro.
Film di impianto narrativo d’appendice come un romanzo da menzionare in ogni postilla e capitolo di vita. Una vita di ambienti, pagine scritte, voci, sguardi e fruscii di verde tra rami e foglie con l’acqua che percorre quasi ogni inquadratura. Fonti e rubinetti, vasche e canali, laghetti e lago di Garda. Tutto in un silenzio soffuso, tra posti e sentieri verso piazze antiche e bar che nascondono anni e verità con gesti e gioco a carte.
Ci troviamo di fronte ad una tenerezza e una sensualità che va oltre a quello che si ossa e si tocca. Una amicizia è una storia d’amore che si scambiano, si scontrano, si intersecano e si lasciano. Lacrime di fortuna estiva per un diciassettenne che incontra un allievo di suo padre per un dottorato. Ospite a casa in una villa tra natura bucolica, silenzi culturali, libri da leggere e voci provinciali. La camera di Elio viene offerta al nuovo ospite. Siamo nel 1983 tra Crema e i suoi dintorni, Bergamo e il lago Di Garda: un’ambientazione di grande fascino dove le biciclette e una 128 fanno da spartiacque tra i ritrovi davanti a casa e fughe verso l’interno. E le nuotate, i tuffi, i balli con i corpi sinuosamente addolcito riescono a riempire lo schermo e il suo alternarsi con volti e miserie ammalianti.
Il film di Guadagnino conosciuto dappertutto, con anteprime varie, dopo un anno dal ‘Sundance Film Festival’, arriva nel nostro Paese per ultimo dopo candidature ai Golden Globe e ai quattro premi Oscar. Nessuno crede nel cinema nostrano, fuori da schemi e storie, se non qualche buon cinefilo straniero. Negli Usa la pellicola non viene disprezzata, tutt’altro: infatti il nostro racimola dappertutto per una produzione oltre confine con una quindicina di nomi tra produttori e produttori esecutivi. La Warner Bros distribuisce.
E poi il regista palermitano si permette di disturbare il novantenne James Ivory (regista con una serie di film imperdibili) per la sceneggiatura tratta dall’omonimo romanzo di André Aciman: si va alla fonte di set naturali per luoghi italiani, in modo british, scritto da un californiano per un libro rigato da un..
Tutti sono in parte e ognuno si fa voce per l’altro personaggio, ma il volto e la recitazione più spontanea e vera che rimane è quella di Timothée Chalamet che nei modi di Elio si trova a proprio agio senza scomporsi o trattenersi, senza titubanze e con una partecipazione lineare e maestra. Un adolescente in crescita che rimarrà nel film e che può dare il la all’attore per il proseguo della carriera. Ruba la scena a tutti senza pensarci e con una postura mai irriverente anche quando sembra compiacersi di scene non facili: abbracci, baci, lingue, tocchi, movimenti, masturbazioni e sguardi di ogni tipo.
Armie Hammer (Oliver) ha dalla sua una certa professionalità che no guasta e un linguaggio corporeo non eccessivo: riesce a completarsi con Elio in modo corretto e senza strafare. La scena del gioco e quella del ballo sono emblematiche per il racconto stesso: l’entrata in scena di Elio nel ballo (e la relativa inquadratura che non segue) appare una ‘sorpresa’ da dietro lo schermo. Un guizzo e un modo di conoscere i personaggi e di parlarsi senza dire una parola. Il confine degli affetti va oltre la musica e il ballo.
In alcuni frangenti si ha il sentore dell’assuefazione e di quel perfezionismo ‘calligrafico’ che porta la pellicola a ripetizioni e una parte finale troppo allungata e, forse, inutile per quello che vuole dire. Dopo l’estate, la partenza, il bianco della neve, il discorso di un padre, la telefonata e…: tutto bello ma sembra un sovrappiù ad ogni scena.
Suggestione, sonorità, musica e fotografia avvolgono il film in un ‘sogno’ di sincerità.
Regia consona e appropriata, di misura e accattivante.
Voto: 8-/10.