Il cinema teen e di avventura per ragazzi è ancora oggi una bussola imprescindibile e un barometro insostituibile del nostro immaginario cinematografico: un genere-caposaldo del “sentimento del mondo”, che mappa e riordina senza colpo ferire epoche, stagioni, nostalgie e languori, evocando molto spesso quell’abusato ripiegamento anni ’80 che va dagli Stand by me a tutti gli Stranger Things di questo mondo.
Non si dissocia da tale obbligato filone (e fa specie, visto che è collocato temporalmente nel decennio successivo, cioè nel 1996) anche Chupa, diretto da Jonás Cuarón, figlio d’arte del cineasta due volte premio Oscar Alfonso, regista di film come Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Gravity e Roma. Protagonista un tredicenne del Kansas (ma non siamo più nel Kansas anymore, per citare Il mago di Oz così come l’ha ripreso di recente Avatar – La via dell’acqua), che s’imbatte in un cucciolo di chupacabra, creatura leggendaria che attacca e uccide animali domestici, spesso capre, dissanguandoli e bevendone il sangue.
Facendo ricorso a un mito molto popolare nei paesi sudamericani e nella comunità latinoamericana degli Stati Uniti, Cuarón junior gira il film a New Mexico, ma, al di là delle giuste ambientazioni, il film purtroppo è un fiasco colossale e non ha nessun’altra freccia al suo arco: i ragazzini sono piatti e monodimensionali, il senso dell’avventura misero e non pervenuto, le creature digitali, che potevano suscitare un senso di insondabile mistero e di ancestrale sgomento, quantomeno da sopracciglio alzato, deludono. ¡Madre mía!
Foto: 26th Street Pictures, Pimienta Films
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