In tempi di Imu, di mutui non concessi, di giovani coppie impossibilitate a costruire il proprio futuro per via della precarietà (economica e sentimentale) il tema della casa poteva diventare un buon escamotage per scattare qualche foto della nostra realtà.
Parliamo al passato, perché Ci vediamo a casa è un’occasione mancata. Un film completamente sfocato nelle intenzioni, nell’inquadratura e nel risultato finale.
Il problema è duplice e in qualche modo antitetico: dal punto di vista narrativo c’è tutto, troppo: l’amore sincero ma minato da continue difficoltà e costretto a scendere a compromessi; il sesso (parecchio e spesso gratuito); l’omosessualità; l’immigrazione; le coppie di fatto e la famiglia allargata; il sospetto che subdolamente si insinua in ogni rapporto; la corruzione; il matrimonio; la povertà e la ricchezza; l’uso di sostanze stupefacenti; i legami familiari.
Maurizio Ponzi assegna a ciascuna delle tre coppie protagoniste alcuni di questi temi, salvo poi non riuscire a svolgerli con coerenza, equilibrio e profondità. Tutto rimane a livello epidermico; complici una scrittura esile, una regia più televisiva che cinematografica (colpa della lunga militanza di Ponzi nella fiction tv?) e una recitazione mediocre e stereotipata: nessuno risulta credibile e mai si riesce a entrare in empatia con i personaggi, nonostante l’intento del film sia proprio quello di offrire al pubblico una vasta gamma di tipologie umane nelle quali potersi riconoscere.
Ci sono la bibliotecaria Vilma e l’ex detenuto Franco che sognano un futuro insieme ma che per mettere su famiglia sono costretti ad accettare l’ospitalità di Giulio, ex tranviere colpito da infarto e un po’ impiccione (ha la dote di riuscire a rovinare qualsiasi momento di intimità dei suoi coinquilini). Gaia è invece la rampolla viziata di un padre agli arresti domiciliari per corruzione, che una casa ce l’ha, ma quando questa le viene confiscata è l’amico-di-letto Stefano a ricomprargliela con la stessa facilità con cui si compra qualsiasi cosa, affetti compresi. E poi ci sono Enzo, corista per passione, e Andrea, poliziotto, che per strada preferiscono nascondersi ma entro le mura di casa vivono con serenità la loro relazione. Nonostante una madre (di Enzo) ingombrante, fricchettona e nemica giurata di qualsiasi divisa.
Il risultato è un caleidoscopio di situazioni e personaggi – ce ne sono molti anche di contorno, tutti pressoché inconsistenti – che non hanno il tempo di trovare una loro evoluzione narrativa e per comodità finiscono per adeguarsi a scontati cliché. Vittime di continui cambi di registro o improvvise virate di umore e comportamento, che dovrebbero rappresentare le diverse sfumature di ognuno e invece creano confusione e distanza.
«La chiamano realtà» è l’incipit dell’omonima canzone di Dolcenera a cui il film “si ispira” e che accompagna i titoli di coda. Eppure in Ci vediamo a casa c’è solo tanta fiction. E nemmeno fatta bene.
Leggi la trama e guarda il trailer del film
Mi piace
L’idea di trattare l’amore attraverso il tema della ricerca di una casa
Non mi piace
La sceneggiatura esile, la regia televisiva, la recitazione poco credibile
Consigliato a chi
Ai fan della commedia italiana, senza troppe pretese
Voto
1/5
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